Oggi si celebra Dante Alighieri: il suo legame con la Calabria e l’influenza di Gioacchino Da Fiore

Rappresentazione Dante Alighieri (fonte: gransassoinstitute)

Il 25 marzo di ogni anno si celebra la Giornata Nazionale dedicata a Dante Alighieri. Questa iniziativa fu istituita nel 2020 dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro della Cultura Dario Franceschini

La data del 25 marzo non è casuale. Infatti il 25 marzo Dante inizia il suo viaggio nell’aldilà della “Divina Commedia“; esattamente il 25 marzo 1300.

L’evento culturale è il motivo di tante iniziative attivate nel mondo della cultura non solo in Italia, ma in tutto il mondo.

Il sommo poeta Dante e la presenza della Calabria nella Divina Commedia

Lo scrittore calabrese Franco Liguori ha pubblicato qualche anno fa una interessante dissertazione che riguarda il legame di Dante Alighieri con la Calabria.

A noi piace celebrarlo da un punto di vista tutto “calabrese”, evidenziando quanto della storia, della lingua, del pensiero della Calabria è presente nella sua opera maggiore, la Divina Commedia, e facendo conoscere i tanti studiosi e letterati calabresi che hanno dedicato, nel tempo, studi e commenti all’opera letteraria e poetica di Dante.

Dante e l’influenza di Gioacchino da Fiore nella sua formazione culturale

Nel XII canto del Paradiso, Dante presenta la figura del calabrese Gioacchino da Fiore, nato a Celico nel 1135 e morto a Pietrafitta nel 1202.

Il pensiero filosofico di da Fiore fu uno dei baluardi della formazione culturale del giovane Dante. Infatti, il grande filosofo e fondatore dell’Ordine monastico a Firenze, viene presentato da San Bonaventura con tali parole:

…E lucemi da lato il calavrese abate Gioacchino,

di spirito profetico dotato…”. (Paradiso, XII,139-141).

Il pensiero gioachimita fu tra i preziosi insegnamenti che Dante ricevette presso la Scuola di Santa Croce, a Firenze. I suoi docenti erano autorevoli studiosi di Gioacchino da Fiore. Uno dei suoi professori, Umbertino da Casale, è stato anche inserito da Umberto Eco nel famoso tomo “Il Nome della Rosa“.

L’influenza di Gioacchino da Fiore nella formazione di Dante Alighieri fu molto forte e questo è testimoniato all’interno della “Divina Commedia” con similitudini e immagini delle intuizioni mistiche di da Fiore.

Come la figura della candida rosa dell’Empireo nel XXXI canto del Paradiso ispirata alla tavola XIII del “Libro delle Figure” di Gioacchino; così pure, nel XXII  canto del Paradiso , quando contempla la Trinità, nel descriverla (“la Fede vede questi tre giri, di tre colori e d’una contenenza, ma la geometria non potrà vederli mai”) Dante s’ispira ai tre cerchi tricolori  disegnati da Gioacchino nell’XI tavola del “Libro delle Figure”. (Franco Liguori)

Studiosi confermano il Giochimismo dantesco

Il filosofo tedesco Alois Dempf nel 1929 asserì che Dante scrisse la “Divina Commedia” come un’apocalisse gioachimita.

Lo studioso calabrese Luigi Costanzo ha affermato che tutta l’opera dantesca andrebbe riletta sotto un’ottica totalmente diversa.

– Secondo Luigi Costanzo la Divina Commedia conserva il pensiero di Gioacchino da Fiore

La Divina Commedia, come si sa, è un’opera che testimonia l’anima in pena del sommo poeta ed è un’esperienza religiosa ascetica. Questo viaggio osserva al suo interno i due poli del pensiero di Gioacchino da Fiore.

Nel 1° periodo: il timore della legge che punisce: “in servitute servili”, diceva Gioacchino; Nel 2°periodo: la grazia fiduciosa e aspettante della servitù filiale: “in servitute filiali”, diceva Gioacchino. Nel 3° periodo si va di chiarezza in chiarezza verso la verità (Dio) che realizza la libertà. I tre regni di Dante (Inferno, Purgatorio, Paradiso) sono i tre periodi gioachimiti, le tre necessarie e laboriose tappe di ascensione dello spirito che si rigenera individualmente e socialmente” (Luigi Costanzo).

– Ernesto Bonaiuti

C’è un altro grande studioso di Gioacchino da Fiore che conferma lo spirito gioachimita in Dante.

Ernesto Bonaiuti (1881-1946) afferma: “L’atmosfera in cui la sua ispirazione si mantiene è intatta, l’atmosfera respirata da Gioacchino, la tecnica della sua interpretazione della Bibbia e della storia ecclesiastica è tuttora, intatta e precisa, la tecnica del Veggente di Celico”.

– Giovanni Papini

Lo scrittore Giovanni Papini (1881-1956) afferma che “nell’animo di Dante si affrontano i due fuochi accesi nell’Italia del Sud ad illuminare l’ultima grande stagione del Medioevo: S. Tommaso d’Aquino e Gioacchino da Fiore: il costruttore e il sognatore; l’Architetto sapiente e il Profeta ispirato; il Razionalista scrupoloso e l’Utopista ragionante”  

Gioacchino e Dante sono uniti nel giudicare malamente la Chiesa di quel periodo. Chiesa che “si era lasciata invischiare da interessi economici e politici fuorvianti.”

– Giovanni di Napoli

Anche il filosofo e teologo di Cariati Giovanni Di Napoli (1910-1980) si è occupato delle connessione tra Dante e da Fiore.

Egli scrive che “Dante era informato sulla persona di Gioacchino” e che tanti sono gli elementi che “mostrano in Dante un conoscitore delle idee e propositi e raffigurazioni simboliche di Gioacchino”; “basterebbe pensare alla struttura del Paradiso, al simbolo trinitario dei tre cerchi iridescenti, al Veltro, ecc..

Vocaboli calabresi che si possono trovare nella Divina Commedia

La presenza della Calabria nella “Divina Commedia” è testimoniata da tanti vocaboli calabresi. L’intellettuale toscano Apollo Lumini (1818-1879) ne trovò 59.

I principali sono i seguenti:

accattare (=acquistare)

affruntare (=andare incontro); 

aggiustare (=accomodare); 

allumare (=illuminare); 

ammucciare (=nascondere); 

appriessu (=in seguito, poco dopo); 

assettare (=sedersi); 

frate e suoru (fratello e sorella); 

jumara (=fiumara, fiume); 

mansu (=mansueto); 

pisule (=leggero, non pesante); 

riciettu(=ricetto, ricovero); 

suppa (=zuppa); 

vacante (=vuoto).

Località calabresi citate da Dante nella Divina Commedia e dantisti e dantofoli calabresi

Nella “Divina Commedia”, Dante ricorda principalmente tre luoghi della Calabria: Cosenza, Catona (Reggio C.) e, indirettamente, Scilla

Ma l’amore di Dante Alighieri per la Calabria è stato nel tempo ricambiato da tanti intellettuali calabresi che hanno persino tradotto la Divina Commedia in dialetto calabrese.

Nel 1840 il letterato rivoluzionario Domenico Mauro, di San Demetrio Corone, diede alle stampe un primo volumetto sulle “Allegorie e Bellezze della Divina Commedia”. Successivamente fondò a Napoli una scuola il cui unico testo era proprio la “Divina Commedia”.

Nel 1845, Pier Vincenzo Gallo, di Rogliano, umile figlio di un costruttore di chitarre, pubblicò sulla rivista “Pitagora” di Scigliano (CS), le sue traduzioni dell’Inferno in dialetto cosentino.

Salvatore Scervini (1847-1925) di Acri (CS), è annoverato tra i migliori traduttori calabresi del poema dantesco.

Ci sarebbero tantissimi nomi di calabresi da citare e sarebbe un’impresa impossibile. Ciò che occorre sottolineare è purtroppo la discesa culturale del nostro Paese che sta mettendo la cultura agli ultimi posti.

Come dice lo stesso Liguori, il pensiero di Dante è ancora attuale. Lo stesso Presidente della Repubblica Mattarella afferma: “L’universalità e la bellezza di Dante vanno ricercate nella sua particolare attitudine a penetrare nel profondo dell’animo umano, descrivendone in modo coinvolgente moti, sentimenti, emozioni. La Commedia ci attrae, ci affascina, ci interroga ancora oggi perché parla di noi, dell’essenza più profonda dell’uomo, fatta di debolezze, cadute, nobiltà e generosità. Basta pensare ai tanti passi della Divina Commedia entrati nel lessico quotidiano e che utilizziamo senza sapere, sovente, che provengono dai suoi versi”. 

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