A che serve condividere i video con poliziotti violenti?

L'immagine icona dell'attivista americana Rosa Parks sul bus (skytg24)

La tendenza nel 2010 ha riguardato la disponibilità di video collegati alla brutalità della polizia; ma mentre questi video hanno mobilitato alcune persone, molte altre sono rimaste traumatizzate. A questo punto, ci servono delle regole di base.

Per favore, ora basta. Vedi un nome mentre stai scorrendo la home, poi lo vedi di nuovo e poi ancora un paio di volte. Un nome preceduto o seguito da un “riposa in pace”. A volte, esso viene accompagnato da una fotografia. Il volto di una persona di colore che è morta prima che madre natura abbia fatto il suo corso consueto. Ogni volta, dovremmo riflettere che abbiamo visto questo troppo spesso: la morte, l’assenza di responsabilità e di giustizia, e poi assassini che sono sovente agenti dello Stato. Peggio ancora: c’è il triste filmato della esecuzione. I momenti finali indecorosi diventano virali e accessibili con il semplice clic di un pulsante. Tutto sembra riaffermare la sensazione che le nostre vite siano finalizzate alla ripresa di immagini. Possiamo vedere cosa ci stanno facendo, in HD.

Questa volta si tratta di Ahmaud Arbery, un venticinquenne georgiano che era andato a fare jogging nel quartiere di Satilla Shores. Inseguito e ucciso da Gregory e Travis Mcmichael, entrambi avevano in mano pistola e fucile. Il caso rimane in sospeso fino a quando il controverso attivista Shaun King twitta il filmato ai suoi 1,1 milioni di follower con l’hashtag #Irunwithmaud. Il risultato è stato: gente che chiede giustizia. Il 7 maggio, la coppia di poliziotti è stata arrestata e, in seguito alle chiamate della famiglia di Ahmaud, tocca anche a William Bryan, l’uomo che aveva filmato e divulgato il filmato. Quest’ultimo è stato arrestato il 21 maggio.

Kemi Alemoru scrive

Questo caso, e il contesto che lo riguarda e che lo ha seguito, mi ha portato indietro al 2016. Era l’anno in cui si effettuavano indagini riguardanti poliziotti che avevano giustiziato persone di colore, nelle strade degli Stati Uniti, o che erano state brutalizzate nel Regno Unito. Video e filmati in streaming, dal vivo erano diventati lo strumento dell’attivista del momento. Erano serviti come prova di insensibilità. Infine, il mondo non poteva più negare ciò che noi vedevamo all’interno delle nostre comunità. Come avrebbe potuto?

All’epoca, stavo iniziando a fare giornalismo, cavalcando l’ondata calda, reagendo emotivamente ad ogni caso. Ogni persona si relazionava con me come se fosse stata un membro della famiglia; oppure era come se avessi visto me stessa insanguinata, malconcia, sparire davanti alla telecamera. Ho cominciato a mettere in discussione il valore di me stessa. Nel frattempo, gli “scrittori bianchi” avrebbero potuto continuare le loro vite, interpretando il fatto come “contenuto forte”, senza per ciò ritenersi costretti di agire per solidarietà. A un certo punto, mi sono alzata dalla mia scrivania e ho avuto un momento di riflessione in bagno. Ho incominciato a pensare: “Perché tutti gli altri hanno una giornata normale?” Così ho rimodellato completamente me stessa e ho cambiato il modo in cui mi approccio alle notizie.

In un aggiornamento inviato dall’agenzia di difesa di Shaun King, l’attivista aveva scritto che, prima che gli uomini fossero arrestati, erano passati 74 giorni, durante i quali la gente si era rivoltata contro di loro. “Non sarebbe successo senza un numero enorme di persone che inviano messaggi ai principali decisori, che fanno telefonate e che parlano, ” – scrisse – “1,4 milioni di persone hanno firmato la petizione. Insieme, abbiamo fatto 168.000 telefonate. E 127.000 persone stanno dimostrando solidarietà. È un peccato che ci siano voluti così tanti sforzi per far arrestare questi uomini, ma ce l’abbiamo fatta. Non possiamo mollare.”

Ma con la visione nitida dei dieci decimi del senno di poi, mi sono chiesta se condividere le morti possa aumentare la consapevolezza o se sia diventato voyeurismo malsano. Quando si tratta di qualcosa di visceralmente doloroso, come un video di una persona assassinata, forse ci devono essere più regole di base e di decoro intorno alla sua diffusione.

È importante che ci sia un certo livello di consapevolezza quando si condividono o si pubblicano atti violenti. Nell’ultimo decennio, la fotocamera è stata vista come uno strumento di l’emancipazione e questa è stata grossomodo la giustificazione per sparare il filmato in rete. È anche uno dei messaggi sottili nascosti in “Get Out” (simbolicamente è il flash della fotocamera che porta Andre Logan King, il personaggio di Lakeith Stanfield, momentaneamente fuori dal luogo sommerso). Più recentemente abbiamo visto un uomo di colore, Christian Cooper, utilizzare il video per evidenziare il trattamento razzista che aveva ricevuto da una “milf” (nessuna relazione con Amy Cooper). L’uomo aveva chiamato la polizia dicendo di essere stato minacciato durante una passeggiata a Central Park, dopo che aveva detto alla donna di mettere il cane al guinzaglio. Ma non è tutto così semplice.

I video portano giustizia?

Nel caso di Ahmaud, la diffusione del video avrebbe trovato giustificazione nel fatto che ha portato ad arresti. Questo è il termine di giustizia. Ma se vogliamo vedere ciò come risultato, come un aiuto, dobbiamo in qualche modo concordare sul fatto che l’incarcerazione è giustizia (contro un reale cambiamento strutturale o intaccando la questione sistemica a portata di mano), qualcosa che non trova esempi simili su come incarcerare le persone, come in passato. 

Abbiamo visto i poliziotti soffocare Eric Garner, che piangeva come Philando Castile, e che perdeva conoscenza dopo che gli agenti, vicino alla sua ragazza, gli avevano sparato quattro volte nella stessa macchina in cui c’era la figlia di lei di quattro anni. Lo abbiamo visto su Facebook Live. Abbiamo visto il filmato sgranato dell’elicottero, con Terence Crutcher disarmato e con le mani in alto mentre si allontanava dagli ufficiali prima di essere colpito con il taser e colpito subito dopo che gli agenti lo richiamassero. Quei video mi sono rimasti impressi nella mia mente e mi sono serviti come un personale risveglio politico, ma vale lo stesso per i casi di cronaca?

L’agente Pantaleo non ha subito condanne per avere strangolato Eric Garner. La famiglia Garner ricevette 5,9 milioni di dollari per i danni, grazie una causa di “morte ingiusta” fatta contro la città di New York e contro il dipartimento di polizia. Anche se i familiari ricevettero quasi tre milioni di dollari dalla città di St Anthony, in Minnesota, l’assassino di Philando Castile non pagò per il suo crimine. Allo stesso modo, il filmato non è stato sufficiente per portare l’agente di polizia di Tulsa Betty Shelby alla giustizia, nonostante fosse visibile il momento in cui sparava e uccideva Terence Crutcher. Non solo fu dichiarato non colpevole, ma mantenne anche il lavoro come Rogers County, Oklahoma Sheriff’s Deputy. Ci sono innumerevoli casi di poliziotti colti in flagrante che brutalizzano i nostri corpi, ma la diffusione di quei video raramente porta alla giustizia. Sicuramente il video non accede ad alcun cambiamento strutturale. 

Secondo il Washington Post, sono tra 900 e 1000 le persone che vengono uccise dalla polizia. Lo stesso rapporto, pubblicato l’anno scorso dal Police Integrity Research Group, ha rilevato che dal 2005 quasi 100 poliziotti sono stati arrestati in seguito a sparatorie mortali, ma solo 35 sono stati condannati per un crimine, di solito per un reato minore, come omicidio o omicidio colposo invece di omicidio preterintenzionale.

“I neri sono stati così sistematicamente disumanizzati e screditati che la gente deve vedere il sangue versato per riconoscere la nostra situazione.”

A chi sono diretti?

È vero: i video possono essere utilizzati per raccogliere sostegno e per mobilitare un movimento. Ci sono state più di 50 proteste dopo la pubblicazione del video di Eric Garner. Se si va indietro, agli anni ’90, le rivolte di Rodney King scoppiarono violentemente per quasi sette giorni quando il filmato che raccontava l’oppressione dei neri a Los Angeles venne trasmesso in televisione, attirando l’attenzione dei residenti. Ma ora siamo nel 2020, e i neri ormai sanno della brutalità e dell’oppressione. La considerazione conseguente potrebbe essere posta nel seguente modo: dobbiamo capire se stiamo parlando di uno spettacolo di morte di neri per i neri, che già hanno familiarità con i mali del razzismo, o è per far vedere ai bianchi la supremazia che ignorano.

Questi video simboleggiano ciò che tutti i neri già sanno: il razzismo è ad alti livelli. Sarebbe impensabile per Childline o NSPCC affidarsi a video espliciti circa gli abusi su minori in mondo da far rimbalzare il problema sulla opinione pubblica. Quello che i media hanno definito l’era di #Metoo, il movimento non solo è stato riconosciuto, ha ottenuto intere pagine di giornale, grazie alla pubblicazione di immagini esplicite di abusi. Non me ne vengono in mente altri. Siccome i neri sono stati così sistematicamente disumanizzati e screditati, la gente deve vedere il sangue versato per riconoscere la nostra situazione.

Internet è ora sede di raccolta di clip, degli ultimi minuti di gente di colore per mano di razzisti o dello Stato (che è anche razzista). Quindi, è normale sfogliare così facilmente un articolo come quello sul New York Times intitolato “Black Lives Upended by Policing: The Raw Videos Sparking Outrage” che è un rozzo elenco fatto di omicidi, morte, terrore? Ogni video ha un effetto a increspatura. Se una persona di colore, che già sente su di sé il peso claustrofobico di oppressione, notasse i video, verrebbe a conoscenza del contenuto che sosterrebbe che egli apparentemente conta nulla, che è usa e getta o senza valore, che potrebbe accadere anche a lui e nulla sarà fatto.

Un recente studio ha rilevato che guardare video e notizie televisive riguardanti omicidi virali è come se fosse un promemoria visivo della bassa posizione sociale degli afroamericani. L’angoscia era legata al DPTS e ai sintomi depressivi tra i giovani di colore (anche gli adolescenti latini sono gravemente colpiti). Pam Ramsden ha presentato una ricerca nel 2015, alla conferenza della British Psychological Association, affermando che una persona su quattro che guarda immagini angoscianti, relative a eventi violenti, ha sviluppato sintomi di PTSD.

Ci sono innumerevoli altri dettagli, di poco conto: un membro della famiglia che conosce le stranezze della vittima, la sua musica preferita e la TV, il modo in cui i suoi occhi avrebbero illuminato una stanza quando era felici. Un’intera vita ridotta a una clip che fa vomitare. Nel 2016, la moglie di Alton Sterling pianse mentre spiegava come suo figlio di 15 anni fosse costretto a guardare il video della morte del padre, in quanto era stato messo in tutti i punti vendita, in bella mostra. Tutto ciò gli causava angoscia infinita. 

C’è anche la questione di cosa faccia per le persone di colore, e per le persone non di colore, per abituarsi a vedere i nostri corpi brutalizzati, come se fosse solo un fatto di vita e di condividere questi video ampiamente soprattutto perché sappiamo il trauma unico che ci lascia. Una persona bianca potrebbe sentirsi un po’ male per il razzismo tanto da retweettare i nostri ultimi momenti, ma questo non significa che diventerà attiva, figuriamoci se appassionata antirazzista, o particolarmente proattiva nell’utilizzo del suo privilegio in modo costruttivo. Pigramente, condivide di nuovo il video e un hashtag che è una parte minima del lavoro. Poi si possono twittare memes senza cambiare il contenuto. Bisogna chiedersi del perché condividere la clip dato che si sa che è un trauma che causato ai neri online.

Poi ci sono i suprematisti bianchi che possono accedere a questi video. Questi sanno che non è stato fatto nulla per ottenere giustizia per l’omicidio e fantasticano sul mettere in atto la stessa brutalità. Sappiamo che i video sono stati anche utilizzati come trofei, messi su un piatto d’argento, per assassini razzisti come Brenton Harrison Tarrant, quello del massacro di Christchurch. È importante ribadire che William Bryan, che ha preso il video virale della sparatoria di Ahmaud, ora è stato effettivamente arrestato per il suo omicidio.  “In questo momento, sappiamo che ha registrato questo video da molto vicino. Secondo il suo avvocato, era a casa, dietro Ahmaud Arbery. Registrando con il suo cellulare la sua imboscata.” L’avvocato di famiglia di Ahmaud Lee Merritt ha detto così durante un’apparizione al Tamron Hall Show.

Nuove regole

Sappiamo già che i social media sono un selvaggio e distorto far-west dove quasi tutto va bene. Chiedere un’adeguata moderazione da parte di Jack Dorsey o Mark Zuckerberg, a questo punto, è come chiedere a Voldemort di mostrarci un po’ di pietà. Semplicemente non sembrano preoccuparsi abbastanza. Ma non credo che ci sia bisogno di traumatizzare le persone per renderle parte di attivismo. Se io, come Dua Lipa prima di me, dovessi presentare una serie di nuove regole, sarebbe come se volessi diffondere un video violento per essere trattata con sensibilità.

In primo luogo, pensate ai meccanismi della piattaforma su cui state postando il video. Uno psicologo della salute sociale, specializzato in tecnologia, ha detto al New Statesman dei rischi per gli involontari scroller su contenuti espliciti, in autoplay, senza avere dato il consenso a vederlo. Ci sono state molte lamentele sul fatto che, a causa della funzione di riproduzione automatica di Twitter, il video sia stato visto da persone che stavano “scrollando” lungo la linea temporale senza rendersi conto di cosa avrebbero visto.

Da tempo, gli attivisti stanno sostenendo l’attivazione di avvisi in modo che la gente sappia quali contenuti staranno per vedere. Nonostante le polemiche sulle osservazioni in merito ai contenuti, non c’è modo per etichettare in maniera esaudiente il video che si sta condividendo e le informazioni ai follower. In Teen Vogue, Lincoln Anthony Blades scrive di avere cliccato sul video in quanto era stato condiviso con la didascalia “Wow, questo è pazzesco”. Si aspettava che fosse un divertente Tik-tok. I contenuti espliciti sono frequenti nelle reti televisive e forse potrebbero essere usati come una fonte, per mostrare ciò che è successo, senza inquinare l’oggettività.

È stato redatto un documento riguardante i giornalisti che sono dei testimoni per i media. Il 46% degli intervistati ha detto di credere di aver subito traumi indiretti i quali hanno avuto un impatto nella loro vita. Si asserisce che la meditazione e la cura della salute mentale sia essenziale per contrastare le cose che stavano vivendo, ad esempio, pensieri intrusivi e aumento del cinismo a causa di esposizione ripetuta. È normale che una persona che guarda e che cerca di dare un senso al filmato abbia esperienze simili. La Columbia University Graduate School of Journalism ha istituito un progetto chiamato Dart Center, per fornire informazioni e supporto ai giornalisti con traumi. Un rapporto sul lavoro con immagini traumatiche ha suggerito che concentrarsi su elementi come abbigliamento, invece di guardare i visi o di abbassare la risoluzione, questo potrebbe ridurre l’impatto dei video. Altri suggerimenti includono la riduzione del riverbero del filmato.

In altri termini, questo potrebbe essere adottato dagli utenti dei social media in generale. Dà il peso all’idea circa il lavoro sull’editing, il pixelating o la sfocatura alcuni elementi del video, prima della sua pubblicazione, per ridurre al minimo il rischio di traumatizzare il pubblico. Forse non sappiamo ancora quale sarà l’impatto duraturo dell’essere una generazione ripetutamente esposta a video di persone come noi che vengono giustiziate senza conseguenze, ma non è troppo tardi per rivalutare la tendenza.

Il filmato violento è un’arma potente, ma per quanto faccia pubblicità ad un caso, porta anche molto dolore. Come tali andrebbero trattati con cautela.

Leggi qui l’articolo originale in lingua inglese di Kemi Alemoru per Gal-Dem.