I Vattienti: una tradizione millenaria e cruenta durante il Sabato Santo

I vattienti di Nocera Terinese (fonte: illametino)

L’antropologo e docente presso l’Università della Calabria Franco Ferlaino è uno dei maggiori esperti della tradizione dei ‘vattienti’. Sull’argomento ha anche scritto un libro in cui spiega il significato di questo rito antichissimo, cruento, e legato alla festività Pasquali.

Il Sabato Santo sono tante le persone che si riversano in Nocera Terinese per assistere all’autoflagellazione che avviene per le vie del paese. È un rituale violento e macabro che richiama tradizioni medioevali; all’epoca, per punizione, le persone si auto affliggevano tormenti fisici per espiare qualche colpa e guadagnare la benedizione divina e la strada del Paradiso. Nell’Asia Minore di epoca precristiana esisteva un rituale simile e veniva praticato per il dio Attis. Si può quindi affermare che il legame con la religione è fortissimo.

Una tradizione primitiva che è giunta fino ai giorni nostri, seguita da non poche polemiche poiché la si potrebbe considerare una usanza barbara e totalmente anacronistica. Invece, è vissuta dalla gente del luogo con devozione e trasporto. Il ‘vattiente’ oggi è un uomo che si auto flagella per portare avanti un’usanza familiare o anche per accedere alla società, ottenendo un riconoscimento all’interno di essa.

I ‘vattienti’ una tradizione popolare che si perde nella notte dei tempi

Il professore Ferlaino che ha studiato questa tradizione afferma che: «Fra i riti della flagellazione ancora esistenti quello di Nocera è il più complesso”. Il momento più atteso è sicuramente quello della preparazione, che si svolge nello scantinato della casa del ”vattiente”; davanti a un grande pentolone che contiene una mistura bollente di acqua e rosmarino.

Il vattiente indossa un pantaloncino nero tirato sulle natiche. Si sistema sul capo una corona di spine, immerge le mani nell’infuso di rosmarino e riscalda i polpacci delle gambe e delle cosce per far affiorare più rapidamente sangue nei capillari. A questo punto il vattiente inizia a percuotersi. Prima con la ‘rosa’, cioè un disco di sughero del diametro di 9-10 centimetri, che usa come una spazzola, battendosi dall’alto verso il basso. Quando i polpacci sono diventati rosei, comincia a battersi con il ‘cardo’, un altro disco di sughero, sul quale sono fissate 13 schegge di vetro, le ‘lanze’, che lacerano le gambe e le cosce. Inizia così la sua ‘via crucis’ davanti casa.»

– La passione di Cristo

«Durante il percorso, accanto al ‘vattiente’ – aggiunge Ferlaino- c’è sempre un amico, che porta un recipiente pieno di vino: ha il compito di seguire il flagellante, versandogli il vino per pulire le ferite. Il vino serve a disinfettare e, allo stesso tempo, a mantenere aperte le ferite, favorendo il defluire del sangue

Il ‘vattiente’ è seguito anche da un ragazzo, dall’Acciomu, ecce homo in latino, legato fisicamente al ‘vattiente’ da una corda. Quest’ ultimo indossa un lembo di stoffa rossa e una croce il cui simbolo evidente è la passione di Cristo. Insieme percorrono le strade del paese, di casa in casa, soprattutto di parenti e amici, per arrivare alla processione della Madonna Addolorata.

Durante il percorso si rappresentano le fasi degli ultimi giorni di Cristo.

«Non esiste un percorso obbligato – spiega Ferlaino-. Ogni ‘vattiente’ sceglie il suo e decide in quale punto deve incontrare la processione. Una volta incontrata la Pietà, il ‘vattiente’ rientra a casa. Ha concluso il rito.»

«La prima vera motivazione di fondo che spinge un giovane a battersi a sangue -afferma Ferlaino- va ricercata nell’intimo di ogni vattiente.
Si tratta di motivi individuali. Il fattore preponderante resta comunque il voto che induce a implorare una grazia per la salute, per la propria vita o per quella dei propri cari. Effondendo il proprio sangue si fa un’offerta gradita alla divinità implorata. Ma c’è anche chi lo fa per continuare una tradizione di famiglia o per ottenere un riconoscimento sociale, per essere accettato dalla famiglia della fidanzata, per condividere l’esperienza con un amico

I vattienti di Nocera Terinese che girano per le strade del paese (fonte: reportageonline)

Tra religione e religiosità

Occorre aggiungere che, sebbene si tratti di un rito legato alla religione, o quantomeno a una forma di religiosità, è senza dubbio una cerimonia in cui la spettacolarizzazione è tra gli elementi principali. Infatti, questa usanza è diventata un appuntamento per tanta gente che interviene da più parti della Calabria e – se vogliamo – è anche una testimonianza di una sorta di atteggiamento narcisistico dei ‘vattienti’.

Da qualche anno, il rito a Nocera Terinese viene rimandato per via del Covid e anche quest’anno la cerimonia è stata annullata.

Per quanto riguarda la posizione della Chiesa, questa non è netta: non condanna, ma neppure assolve i ‘vattienti’. Negli anni ’70, il monsignore Agostino Saba cercò di stroncare il rito attraverso l’invio di 60 militari. Successivamente, la Chiesa si è espressa in maniera meno critica favorendo di fatto la consuetudine della tradizione.

Il segno della processione resta visibile anche dopo la sua conclusione: infatti, alla fine del rito sui muri e sui marciapiedi restano le tracce del sangue e le strade sono inondate dall’odore acre del sangue e del vino.

La presenza del sangue è simbolo di un archetipo vita uguale morte. Ecco perché le radici della sua nascita sono sicuramente lontanissime.

Una tradizione che contiene molte simbologie nonché un alone di misticismo che in Calabria ancora persiste.