Notriphobia, la nuova ansia di chi si sente in colpa per non viaggiare abbastanza: tra feed perfetti, FOMO esistenziale e il bisogno di imparare a stare fermi
C’è una nuova ansia che non compare nei manuali di psicologia, ma si infiltra silenziosa tra i pensieri di molti. Si chiama notriphobia, e non ha nulla a che vedere con la paura dei voli cancellati o con le ferie negate all’ultimo minuto. È qualcosa di più profondo, subdolo e sottile: è l’ansia di non “vivere abbastanza”, perché non si sta viaggiando come (apparentemente) fanno tutti gli altri.
Il termine è ancora poco conosciuto, ma il sentimento è diffusissimo. Basta aprire Instagram per esserne travolti: spiagge esotiche, tramonti perfetti, vite che sembrano un documentario continuo. E mentre tu sei lì, in pausa pranzo davanti alla solita insalata triste, ti assale una domanda fastidiosa: “e se stessi sprecando la mia vita?”
Non è un caso isolato, ma una forma di FOMO (Fear of Missing Out) in versione esistenziale. La terapeuta americana Anna Rowley la descrive come la sensazione che la felicità si trovi sempre altrove. Non è tanto l’assenza di viaggi a pesare, quanto la convinzione che “la vita vera” sia quella che accade su una scogliera greca, a Bali o vendendo braccialetti a Ibiza.
Nel mondo iperconnesso di oggi, l’immobilità è quasi uno stigma. Sembra che se non pubblichi almeno una foto al mese con la caption “ho trovato me stesso”, tu abbia fallito. Ma la verità è un po’ diversa: nessuno, per quanto patinato sia il suo profilo social, vive esperienze straordinarie 24 ore su 24.
La notriphobia non è il desiderio sano di partire, ma la paura malata di non essere “abbastanza” se non lo fai. È il sospetto che la tua vita sia meno valida solo perché non è raccontabile in un carosello da condividere.
Eppure, forse è proprio questo il messaggio più rivoluzionario che possiamo ricordarci: non si è meno vivi perché si passa il sabato in pigiama o si fa una passeggiata nel quartiere senza doverla geolocalizzare. A volte, la felicità è semplicemente smettere di inseguire quella degli altri.
Riscoprire il valore della presenza, dell’ordinario, del tempo non documentato: ecco il vero viaggio. E se proprio dobbiamo disintossicarci, iniziamo da lì. Magari salvando meno reel e godendoci un po’ di più il nostro caffè – anche se arriva da una macchinetta che ogni tanto fa i capricci.