Un nuovo studio di Oxford rivela che le persone non sposate hanno un rischio significativamente più basso di sviluppare demenza rispetto a chi è coniugato
Essere single potrebbe avere un inaspettato effetto positivo sul cervello. A sostenerlo è un recente studio condotto dall’Università di Oxford, che ha analizzato per un decennio oltre 30.000 persone, arrivando a una conclusione sorprendente: chi non è sposato sembrerebbe avere un rischio più basso di sviluppare la demenza rispetto a chi è coniugato.
Pubblicata su una rivista scientifica di rilievo, la ricerca ha subito attirato l’attenzione della comunità medico-scientifica, sollevando interrogativi importanti sul legame tra stato civile, benessere psicologico e salute cerebrale. Gli studiosi hanno preso in considerazione variabili come età, istruzione, salute fisica e predisposizione genetica, confrontando individui sposati, divorziati, vedovi e single.
I risultati? I single sono risultati meno esposti alla demenza. Una correlazione che, secondo gli esperti, non va interpretata in modo semplicistico. Non è il matrimonio in sé a essere “pericoloso”, quanto piuttosto le dinamiche relazionali che possono accompagnarlo. Stress cronico, conflitti irrisolti e tensioni emotive, spesso presenti nelle relazioni coniugali, potrebbero infatti influenzare negativamente la salute del cervello. Le relazioni difficili sono già state collegate a un aumento di patologie cardiovascolari, fattori di rischio noti per le malattie neurodegenerative.
Ma c’è di più. Secondo i ricercatori, i single potrebbero condurre una vita sociale più dinamica e mentalmente stimolante, ricorrendo a reti di amicizie, impegni nel volontariato o attività culturali. Tutti elementi considerati “allenamento” per il cervello, in grado di rafforzare le connessioni neuronali e ritardare il declino cognitivo.
Un altro aspetto rilevante riguarda la gestione della salute personale: chi vive da solo tende spesso a prendersi più cura di sé, monitorando con maggiore attenzione alimentazione, attività fisica e benessere psicologico. Al contrario, chi è in coppia potrebbe, in alcuni casi, cadere nella trappola della routine e sottovalutare la propria salute, contando sulla presenza dell’altro.
La ricerca non punta il dito contro il matrimonio, ma invita a una riflessione più profonda: non esiste una formula unica per invecchiare bene. Le relazioni possono offrire amore, sostegno e stabilità, ma anche, se conflittuali o insoddisfacenti, generare stress e disagio. La vera chiave, secondo gli studiosi, è coltivare il benessere mentale e sociale in ogni fase della vita, indipendentemente dallo stato civile.
Sul fronte delle politiche sanitarie, i risultati dello studio potrebbero aprire la strada a nuove strategie di prevenzione. Promuovere stili di vita attivi, reti sociali inclusive e supporto psicologico potrebbe rivelarsi fondamentale per la salute pubblica, soprattutto in una società che invecchia rapidamente.
In definitiva, più che una condanna al celibato o un’accusa al matrimonio, questa ricerca offre uno spunto prezioso: la salute del cervello passa anche dalle relazioni, ma non solo. Conta la qualità, più che lo status. E prendersi cura di sé, in ogni senso, può fare davvero la differenza.
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