33 anni fa la strage di Capaci: l’eccidio che cambiò l’Italia

Strage di Capaci, Giovanni Falcone
Strage di Capaci, Giovanni Falcone

23 maggio 1992: la strage di Capaci, l’attentato che uccise Giovanni Falcone, sua moglie e tre agenti della scorta, sconvolse l’Italia e diede inizio a una nuova era nella lotta alla mafia

Sono passati 33 anni dalla strage di Capaci, uno degli eventi più drammatici e simbolici della lotta alla mafia in Italia. Era il 23 maggio 1992 quando un attentato di inaudita violenza scosse il Paese: un tratto dell’autostrada A29, nei pressi di Capaci, fu sventrato da un’esplosione di 500 kg di tritolo, azionata da un commando mafioso nascosto tra le colline.

In quell’attentato persero la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e tre agenti della scorta: Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Il cratere sull’asfalto, il fumo denso, le auto dilaniate: immagini impresse nella memoria collettiva degli italiani, simbolo del prezzo altissimo pagato da chi ha scelto di combattere Cosa Nostra.

Il volto della legalità

Giovanni Falcone era diventato il simbolo della lotta alla mafia già negli anni Ottanta, quando insieme al giudice Paolo Borsellino e al pool antimafia di Palermo, aveva dato vita al Maxiprocesso, che portò alla condanna di centinaia di affiliati a Cosa Nostra. Con metodo, coraggio e rigore, Falcone aveva saputo colpire il cuore dell’organizzazione mafiosa, guadagnandosi stima internazionale, ma anche l’odio dei vertici mafiosi.

L’attentato di Capaci non fu solo un omicidio: fu una dichiarazione di guerra allo Stato, una risposta brutale alla sfida lanciata da Falcone e da chi, come lui, credeva nella possibilità di un’Italia libera dal giogo mafioso.

Le conseguenze e la reazione dello Stato

La strage scatenò un’ondata di indignazione e dolore in tutta la nazione. Milioni di italiani scesero in piazza, soprattutto i giovani, dando vita a un movimento civile che non si sarebbe più fermato. Pochi mesi dopo, il 19 luglio, un altro attentato a Palermo avrebbe ucciso Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, completando una delle pagine più nere della storia repubblicana.

Ma da quel sangue nacque anche una nuova consapevolezza. Lo Stato, sotto la pressione dell’opinione pubblica, reagì con decisione: furono approvate leggi più severe contro la mafia, rafforzati i reparti investigativi e potenziata la protezione per i magistrati.

Il ricordo oggi

Oggi, 23 maggio 2025, l’Italia si ferma per ricordare. A Palermo e in tante città del Paese si svolgono cerimonie, cortei, letture e incontri con studenti. L’albero Falcone, davanti all’abitazione del giudice in via Notarbartolo, è ancora oggi un luogo di memoria viva. Migliaia di post-it colorati, frasi, pensieri e disegni continuano ad affollare quel tronco, come una promessa collettiva: non dimenticare.

Il Presidente della Repubblica, le più alte cariche dello Stato, magistrati, docenti e cittadini comuni oggi si stringono attorno al ricordo di chi ha dato la vita per la giustizia. La strage di Capaci, 33 anni dopo, non è solo memoria: è monito, esempio e spinta all’azione quotidiana contro ogni forma di criminalità.

“Gli uomini passano, le idee restano”, diceva Falcone. A distanza di oltre tre decenni, quelle idee continuano a camminare sulle gambe di chi crede in un’Italia libera e giusta.

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