Calabria e Sud Italia sotto un caldo record senza precedenti: agricoltura al collasso, sanità in crisi e istituzioni immobili di fronte a una crisi climatica che avanza mentre il negazionismo paralizza
Il Sud Italia brucia – letteralmente – sotto l’effetto di un’ondata di caldo che ha superato la soglia dei 40 gradi, trasformando la Calabria in uno degli epicentri della crisi climatica italiana. Insieme a Sicilia e Puglia, la regione affronta un’estate rovente che mette in ginocchio agricoltura, sanità e turismo, mentre le istituzioni osservano in silenzio, incapaci di rispondere con la necessaria urgenza.
Un caldo diventato “normale”
Quella che un tempo era considerata un’eccezione meteorologica, oggi è la nuova normalità. Le ondate di calore estremo si ripetono con una frequenza allarmante, alimentate da anni di cambiamenti climatici ignorati o minimizzati. I dati parlano chiaro: l’Isac-Cnr segnala un crollo del 70% nelle giornate piovose nel Sud negli ultimi due decenni. Nell’Altopiano della Sila, le nevicate si sono più che dimezzate. Le sorgenti si stanno prosciugando, le foreste arretrano e le falde acquifere sono sotto stress. Secondo l’Ispra, oltre il 30% del territorio meridionale è già in avanzato stato di desertificazione.
Agricoltura allo stremo
Il cuore produttivo del Sud è la terra, ma oggi è una terra che soffre. Gli agricoltori calabresi, siciliani e pugliesi vedono i raccolti dimezzati e i costi d’irrigazione salire alle stelle. Ulivi, agrumi e ortaggi non resistono più al caldo torrido e alla cronica assenza d’acqua. La Coldiretti stima danni per oltre un miliardo di euro solo nei primi sei mesi del 2025. Molti piccoli produttori non ce la fanno più: si chiude, si abbandona, si emigra.
Emergenza sanitaria e turistica
Le conseguenze non sono solo economiche. Il caldo estremo colpisce duramente la popolazione, in particolare gli anziani. Gli ospedali calabresi registrano un’impennata di ricoveri per colpi di calore, disidratazione e problemi cardiovascolari. Le strutture sanitarie, già provate da anni di tagli, si trovano impreparate ad affrontare emergenze che ormai si ripetono ogni anno.
Anche il turismo ne esce devastato. Le stazioni sciistiche del Meridione – dalla Sila al Pollino, fino all’Etna – faticano a garantire stagioni invernali redditizie. La neve non c’è, o arriva troppo tardi. E interi territori rischiano di perdere una delle poche fonti di economia alternativa all’agricoltura.
Il silenzio delle istituzioni
Di fronte a un quadro tanto critico, la risposta politica è inesistente. Le Regioni non hanno una linea comune, i piani di adattamento climatico sono assenti o insufficienti. E a livello nazionale, il tema ambientale è stato praticamente espunto dall’agenda politica. Mentre la crisi si aggrava, il negazionismo trova nuove sponde anche nei vertici internazionali: dalle parole di Donald Trump – «Il cambiamento climatico è solo una bufala» – si diffonde un’eco pericolosa che legittima l’inazione anche in Europa.
Una crisi che è anche sociale
«Il Sud rischia di diventare la prima zona semi-arida permanente d’Europa», avverte il climatologo Luca Mercalli. Enrico Giovannini (ASviS) lancia l’allarme su una possibile crisi umanitaria, economica e ambientale. E Serena Giacomin, climatologa, sintetizza con efficacia: «Negare il cambiamento climatico oggi è come spegnere l’allarme mentre la casa brucia».
Non è solo una questione ambientale. È una questione di giustizia sociale e coesione nazionale. Continuare a ignorare la crisi significa condannare intere comunità a un futuro di degrado, isolamento e spopolamento. La Calabria, e con essa tutto il Sud, chiede un’azione concreta. Il tempo delle analisi è finito. Serve una risposta sistemica.
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