Confermata la condanna per il boss di Limbadi “Scarpuni” per minacce a magistrato

Pantaleone Mancuso, detto
Pantaleone Mancuso, detto "Scarpuni"


La condanna definitiva per il presunto boss di Limbadi, Pantaleone Mancuso, noto come “Scarpuni”, è stata confermata, stabilendo una pena di un anno e tre mesi di reclusione. Mancuso era stato accusato nel 2016 di aver rivolto frasi offensive e minacciose nei confronti dell’allora magistrato della Dda di Catanzaro, Marisa Manzini, durante il processo “Black Money” che si stava svolgendo a Vibo Valentia.

Le frasi pronunciate da Mancuso sono state considerate aggravate dalle modalità mafiose, nonostante questa circostanza non sia stata riconosciuta nella sentenza di primo grado che aveva determinato la stessa pena ora confermata dalla Suprema Corte.

Il processo si è tenuto presso il Tribunale di Salerno, che ha giurisdizione sui magistrati del distretto della Corte d’Appello di Catanzaro. La dottoressa Manzini si è costituita parte civile ed è stata rappresentata dall’avvocato Giovanna Fronte. Inoltre, aveva annunciato che il risarcimento dei danni e le spese legali sarebbero stati devoluti all’associazione dei familiari delle “Vittime del dovere”, che ha anche ricevuto i proventi della vendita del libro scritto dalla stessa magistrato, intitolato “Stai zitta ca parrasti assai”, che tratta proprio della vicenda in questione.

Il 10 ottobre 2016, durante un collegamento video dal carcere, “Scarpuni” rivolse a Marisa Manzini le seguenti parole: “Statti zitta ca parrasti assai, hai capito ca parrasti assai. Fammi parrari a mia”. Sulla base di tali affermazioni, il sostituto procuratore di Salerno, Vincenzo Senatore, richiese il rinvio a giudizio dell’imputato, che successivamente fu sottoposto a processo.

Questa sentenza conferma l’importanza di preservare l’indipendenza e l’integrità del sistema giudiziario, proteggendo i magistrati da intimidazioni e minacce. È fondamentale garantire che i membri del sistema di giustizia possano svolgere il proprio lavoro senza timori o pressioni indebite, in modo da tutelare i diritti e la giustizia per tutti i cittadini.

Questa vicenda rappresenta anche un segnale di condanna nei confronti delle azioni intimidatorie perpetrate dalla criminalità organizzata, sottolineando l’importanza di contrastare il potere e l’influenza delle organizzazioni mafiose. La collaborazione tra le forze dell’ordine, i magistrati e la società civile è essenziale per debellare la criminalità e preservare la legalità e la giustizia nella nostra società.

La conferma di questa condanna è un passo avanti nella lotta contro la criminalità organizzata e nella protezione degli operatori di giustizia. Tuttavia, è necessario rimanere vigili e continuare a perseguire con determinazione tutte le forme di violenza e intimidazione legate al mondo criminale.