Sono nata all’estero da genitori emigranti il 28 agosto del 1968 e lì risiedevo il 14 luglio del 1970 quando nella mia città di origine accadde qualcosa di epocale e cioè la famosa “Rivolta di Reggio”. La sommossa che durò quasi due anni, non venne fermata dai cingolati che l’allora Governo inviò come risposta ai moti ma si esaurì, anche, quasi spontaneamente, quando la rabbia e la carica ribelle dei manifestanti si sfogò quasi completamente. I fatti che scatenarono la rabbia popolare penso siano abbastanza noti e si enucleano nella definizione giuridica della città di Catanzaro come capoluogo di Regione. Allora, Reggio Calabria si sentì scippata di un’occasione di mancata di ripresa e di sviluppo. Lo Stato, qualche mese prima, aveva stabilito che a Cosenza sarebbe andata l’Università e a Catanzaro il capoluogo. La città di Reggio, allora, era una città svuotata dall’emigrazione massiccia verso il Nord Italia, il Centro Europa e le Americhe, la disoccupazione era dilagante e le prospettive di una svolta progressista si annidavano nella speranza che la città divenisse capoluogo di Regione, in modo da poter assumere quelle decisioni politiche che avrebbero garantito lo sviluppo ed il progresso di tutta la Calabria e della città di Reggio in particolare. I reggini scesero in piazza il 14 luglio del 1970 e ci stettero oltre un anno e mezzo mantenendo viva la guerriglia urbana. La popolazione manifestò, incendiò, picchiò i celerini e fu picchiata selvaggiamente dai questi ultimi; contò i suoi morti così come li contò lo Stato, sfidò ferocemente l’Ordine Centrale Costituto ed esso rispose mandando l’esercito. La soluzione del conflitto fu quasi pacifica e si realizzò anche grazie alle promesse del Pacchetto Colombo, escamotage politico economico proposto alla città dall’allora Presidente del Consiglio. La soluzione economica non solo non risolse i problemi di disoccupazione ma addirittura li aggravò mentre il capoluogo continuò a rimare a Catanzaro. Ora, questo grosso evento della città di Reggio che contò morti, feriti, arrestati e processati, quanto è conosciuto dai nostri studenti? Se ne parla nelle aule scolastiche calabresi? Cosa si sa della Repubblica di Caulonia? E della strage di Bronte, in Sicilia? E delle altre stragi e delle altre rivolte, cosa si sa? Ora, questa microstoria di cui la Storia ufficiale non si occupa, a mio avviso, se sommata, organizzata e riconosciuta darebbe agli Italiani un’altra versione della Storia del nostro paese. Una versione forse più veritiera, più reale e meno ideale, diventa dunque assiomatico affermare che il progresso e lo sviluppo di un territorio o di un Paese si fonda sulla lettura reale e non ideale delle comunità umane.
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