LEA GAROFALO: parla la sorella MARISA ai microfoni di Radio Catanzaro Centro

Rivivere la storia di Lea: un’intervista toccante su Radio Catanzaro Centro”

Nel corso di un’intervista toccante e significativa trasmessa su Radio Catanzaro Centro durante il programma “Saluti e Baci”, al conduttore radiofonico Luigi Mussari è stato affidato il compito delicato ma fondamentale di immergersi nella vita straordinaria e purtroppo tragica di Lea Garofalo, attraverso le parole commoventi di sua sorella, Marisa Garofalo. Grazie a questa emittente, abbiamo avuto l’opportunità di rivivere la storia di Lea, una donna coraggiosa che ha sfidato la ‘ndrangheta come testimone di giustizia, pagando un prezzo inimmaginabile.

Lea Garofalo: un tributo alla determinazione contro la ‘ndrangheta

Nel cuore della lotta contro la ‘ndrangheta, la storia di Lea Garofalo continua a illuminare il cammino della giustizia e dell’umanità. La sua vita e la sua tragica fine sono diventate un monito contro la violenza e un tributo alla forza interiore di coloro che si oppongono al male. Attraverso il racconto delle sue esperienze e della sua determinazione, Lea resta un faro di speranza per tutti coloro che lottano per un futuro migliore, e la sua memoria rimarrà indelebile nella lotta contro la criminalità organizzata in Italia e nel mondo.

La storia di Lea Garofalo

Lea Garofalo, testimone di giustizia sotto protezione dal 2002, ha deciso di rivelare informazioni sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco. Il clan Comberiati-Garofalo è stato colpito da un blitz dei carabinieri nel maggio 1996, durante il quale è stato arrestato Floriano Garofalo, fratello di Lea, un boss di Petilia Policastro. Successivamente, Floriano Garofalo è stato assassinato nel giugno 2005. Lea ha testimoniato sull’attività di spaccio di droga dei fratelli Cosco, attribuendo l’omicidio di Floriano Garofalo al cognato Giuseppe, detto Smith, e all’ex compagno Carlo Cosco. Nonostante sia stata ammessa nel programma di protezione nel 2002 insieme alla figlia Denise, Lea è stata estromessa nel 2006 perché considerata una collaboratrice non attendibile. Dopo una battaglia legale, è stata riammessa nel programma nel dicembre 2007, ma ha deciso di rinunciare volontariamente alla protezione nel aprile 2009, poco prima della sua scomparsa, pur rimanendo a vivere nel capoluogo molisano per consentire alla figlia di completare l’anno scolastico.

L’Agguato e l’omicidio

Carlo Cosco, che ha aiutato a trovare la nuova dimora di Lea Garofalo a Campobasso, tenta di rapirla e ucciderla il 5 maggio 2009, ma il suo piano viene sventato dall’intervento tempestivo della figlia Denise. Lea informa le autorità sospettando il coinvolgimento di Cosco. Le indagini sul tentativo di rapimento si intensificano solo dopo la scomparsa di Lea a Milano il 24 novembre 2009. In precedenza, Lea aveva scritto una lettera al Presidente della Repubblica lamentando il suo trattamento come collaboratrice di giustizia e le difficoltà incontrate nel programma di protezione. Il 24 novembre 2009, sotto il pretesto di discutere del futuro della loro figlia Denise, Cosco attira Lea in un appartamento a Milano, dove viene uccisa da Vito Cosco, con l’aiuto di altri complici. Il corpo viene poi bruciato a San Fruttuoso, Monza, per tre giorni fino alla completa distruzione.

Le indagini e i processi

Le indagini sulla scomparsa e l’omicidio di Lea Garofalo sono state coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano insieme alla Squadra Omicidi del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Milano. Nel ottobre 2010, sono stati emessi mandati di arresto per Carlo Cosco, Massimo Sabatino, Giuseppe Cosco detto “Smith”, Vito Cosco detto “Sergio”, Carmine Venturino e Rosario Curcio. Altri due individui sono stati arrestati nel febbraio 2010 per aver fornito il terreno dove il corpo di Lea è stato portato dopo l’omicidio.

Durante il processo, la figlia di Lea è stata una testimone chiave, decidendo di deporre contro suo padre. Tuttavia, il processo è stato interrotto il 23 novembre 2011 a causa di un conflitto di interessi riguardante il Presidente della Corte. Il processo è ricominciato da capo, ma il 30 marzo 2012, i sei imputati sono stati condannati per sequestro di persona, omicidio e distruzione di cadavere, ma non con l’aggravante mafiosa. Carlo Cosco e suo fratello Vito sono stati condannati all’ergastolo con isolamento diurno per due anni, mentre gli altri quattro sono stati condannati all’ergastolo e ad un anno di isolamento.

Dopo la sentenza di primo grado, Carmine Venturino ha fornito informazioni che hanno portato al ritrovamento dei resti di Lea a San Fruttuoso. Nel maggio 2013, la Corte d’assise d’appello di Milano ha confermato quattro dei sei ergastoli inflitti in primo grado. Nel dicembre 2014, la Cassazione ha confermato tutte le condanne, rendendole definitive.