Mio fratello stava morendo, l’ossigeno ozono lo ha salvato

ossigeno azoto terapia
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«Intubato e in terapia intensiva da 12 giorni, mio fratello stava morendo. Poi gli è stato praticato l’ossigeno ozono come da protocollo SIOOT (Società Scientifica di Ossigeno Ozono Terapia) e adesso è vivo e sta guarendo». Chi parla così è Sergio Maccarinelli, nato a Treviglio nel 1957, per molti anni impegnato all’estero come operatore aziendale.

Maccarinelli ha collaborato, tra l’altro, anche alla gestione degli aiuti umanitari nell’Europa dell’Est. Tornato in pianta stabile in Italia, è rimasto esterrefatto dalla violenza della pandemia che sta ancora infierendo soprattutto in terra bergamasca.

Lo abbiamo intervistato e ci ha raccontato una storia incredibile.

A metà marzo il Covid-19 è apparso nella famiglia di Sergio. Suo fratello Cesare, classe 1961, è risultato positivo al virus. Sergio ha iniziato ad assisterlo in ambito domiciliare, con i farmaci prescritti dal medico di base.

Il 19 marzo Cesare aveva difficoltà respiratorie e i valori di saturazione dell’ossigeno si stavano abbassando velocemente.

Il 20 marzo è stato chiamato il 118 per effettuare il ricovero. In zona non c’erano posti letto disponibili, per cui Cesare è stato trasportato in un ospedale in provincia di Lecco. Le condizioni di Cesare si facevano ogni giorno più gravi. Gli è stata prima applicata la mascherina per l’ossigeno, poi il Casco Cpap connesso a un respiratore, e infine si è reso necessario ricoverarlo in terapia intensiva, dove è stato sedato e intubato.

Sergio Maccarinelli, per curare il fratello, ha provato di tutto, ha reperito e messo a disposizione tutti i farmaci sperimentali disponibili: il Tocilizumab, l’Anakirna, nonché gli antimalarici e i retrovirali presenti nei protocolli di cura.

Il 29 e 30 marzo la situazione di Cesare stava rapidamente precipitando verso un esito infausto.

A quel punto Sergio si ricordò che, nel 2016, aveva, praticato l’ossigeno ozono terapia per combattere un’osteomielite contratta nel corso di un intervento ortopedico per la riduzione di una frattura del piatto tibiale.

A quel tempo aveva avuto modo di ascoltare diversi pareri positivi in merito all’utilizzo dell’ossigeno ozono per la cura di varie patologie, fra cui la polmonite.

Decise così di contattare immediatamente il prof. Marianno Franzini, presidente di SIOOT International. Franzini gli spiegò che la SIOOT aveva formulato un protocollo medico specificamente rivolto ai malati affetti dal virus Covid-19. Sergio decise, quindi, di proporre l’utilizzo dell’ossigeno ozono nella struttura ospedaliera dove il fratello era degente, ma i medici non disponevano né dell’attrezzatura né delle conoscenze necessarie.

Poiché un paziente in terapia intensiva non si può facilmente trasportare altrove, Sergio continuò a fare pressioni per ottenere l’autorizzazione ad usare l’ozonoterapia. Ma i tempi di approvazione si stavano allungando, mentre Cesare peggiorava sempre più avvicinandosi al punto di non ritorno. Così, di concerto con il prof. Franzini, Sergio prese in affitto una macchina per produrre ozono, acquistò le sacche necessarie per praticare la grande autoemoinfusione (in conformità al protocollo SIOOT) e le offrì gratuitamente all’ospedale dove Cesare era ricoverato.

Il medico dell’ospedale, «di fronte ad un paziente intubato morente» (sono sue testuali parole), accettò – a titolo di “cura compassionevole” – di sottoporre Cesare alle autoemoinfusioni quotidiane arricchite di ozono.

Applicando il protocollo indicato dalla SIOOT, le condizioni del paziente iniziarono gradualmente a migliorare fin dal primo giorno in cui venne effettuata l’ozonoterapia. Con grande stupore del medico che l’aveva in cura. Al punto che il 17 aprile, dopo solo 9 giorni di ozonoterapia, Cesare non era più in pericolo di vita ed ha potuto essere risvegliato ed estubato. Inizialmente era debole, ancora bisognoso di fisioterapia respiratoria, poiché si era intervenuti su di lui quando era già molto grave, ma, nonostante ciò, i suoi miglioramenti sono stati definiti “impressionanti”.

Come confermato dal prof. Franzini, sulla base delle esperienze maturate presso altri nosocomi, si può ritenere che, se si fosse intervenuti ai primi sintomi, probabilmente il paziente non avrebbe avuto bisogno d’essere intubato. Si sarebbe evitata al paziente un’esperienza altamente traumatica e si sarebbe avuto un grande risparmio per la struttura sanitaria in termini di costi e di risorse.

Estremamente grato per la collaborazione ricevuta dal prof. Franzini, e riconoscente al Buon Dio per la salvezza del fratello, Sergio Maccarinelli si è offerto di coprire i costi di un mese di noleggio macchina e attrezzature per gli ospedali della zona che intendano praticare l’ozonoterapia sui pazienti positivi al Covid-19.

La speranza di Sergio è che «da questo racconto possa nascere una scintilla di speranza e, soprattutto, che si possa fare presto, perché ogni giorno molti malati soffrono o addirittura perdono la vita».

Se l’ossigeno ozono fosse utile a salvare, o ad agevolare il decorso, anche di una sola madre o di un solo padre di famiglia, avremmo ottenuto un importante risultato. Secondo Sergio, in questa vicenda sono intervenuti dei veri e propri angeli, che hanno collaborato con San Leopoldo Mandic, al quale la struttura ospedaliera è intitolata. Per quella che potrebbe definirsi un’incredibile “congiunzione astrale”, Sergio è devoto a San Leopoldo Mandic sin dai tempi in cui lavorava in Jugoslavia.

E continua tuttora a frequentare il Santuario di Padova a lui dedicato, dove il Frate Confessore San Leopoldo operò per molti anni a favore delle anime dei fedeli.