Femminicidi e Stato assente: la tragedia evitabile di Chamila Wijesuriya
L’EDITORIALE – La storia di Emanuele De Maria è l’ennesimo capitolo nero nella lunga lista dei femminicidi che si potevano evitare. Un uomo già condannato per aver ucciso una donna nel 2018 ha ottenuto dal carcere di Bollate un permesso di lavoro esterno. Lo ha utilizzato per tentare un nuovo duplice omicidio. Chamila Wijesuriya, barista, è morta. Il suo collega, Hani Nasr, è sopravvissuto difendendosi. Poi De Maria si è tolto la vita, gettandosi dal Duomo di Milano.
Un femminicidio non accidentale, non imprevedibile, ma figlio diretto di una concessione istituzionale che grida allo scandalo.
È assurdo e vergognoso che un uomo responsabile di un femminicidio abbia potuto beneficiare di un permesso per uscire dal carcere. È una scelta che tradisce lo scopo della detenzione e che ha avuto conseguenze letali. In un paese che si proclama civile, non può esserci spazio per leggerezze nella gestione di chi ha ucciso una donna.
Femminicidi e responsabilità istituzionali
La concessione del lavoro esterno a De Maria non è stata una fatalità burocratica. È stata una scelta, un atto deliberato. Le aggravanti della premeditazione erano cadute in primo grado, ma la condanna per omicidio – per femminicidio – restava. Cosa è passato per la testa a chi ha ritenuto quell’uomo rieducato? Chi ha creduto che fosse pronto a reintegrarsi?
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un’altra donna morta, un altro femminicidio che si poteva impedire. E intanto si annunciano verifiche, controlli, audizioni. Ma Chamila non tornerà indietro. La sua vita è stata spezzata da un sistema che ha dimostrato ancora una volta di non saper proteggere le donne.
Quando lo Stato è complice
Non è un caso isolato. I femminicidi in Italia aumentano. Le vittime sono nomi, volti, storie che scompaiono in poche ore dalle cronache. Ma dietro ogni femminicidio c’è spesso una falla del sistema, una sottovalutazione del pericolo, una libertà concessa troppo presto.
Questa non è giustizia. È abbandono. È complicità. E non basta indignarsi a tragedia avvenuta: bisogna agire prima. Serve una riforma vera, profonda. Serve cambiare le regole sui permessi. Serve ascoltare chi denuncia. Serve credere alle donne. E serve dire basta all’ipocrisia istituzionale che piange dopo, ma tace prima.
Un permesso per uccidere
Emanuele De Maria non doveva essere libero. Non doveva avere la possibilità di avvicinare Chamila e Hani. Non doveva poter uccidere ancora. Il fatto che ciò sia accaduto è una responsabilità pesantissima che qualcuno dovrà assumersi.
Nel nostro Paese, femminicidi e violenza contro le donne non possono più essere trattati come effetti collaterali della rieducazione carceraria. Perché ogni volta che un assassino torna libero troppo presto, ogni volta che una vita viene spezzata da chi lo Stato doveva controllare, non è solo una vittima a pagare. È tutta la società a fallire.
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