Claudio Baglioni e i nostri primi 40 anni: La vita è (sempre) stata adesso

La copertina interna del nuovo album di Claudio Baglioni (fonte Facebook pagina ufficiale)

Claudio Baglioni celebra i quaranta anni de “La vita è adesso” con un reboot. Il disco più venduto della musica leggera italiana vede una nuova veste con nuovi arrangiamenti e qualche novità nei testi

Caro Claudio, eccoci qua a distanza di ben quaranta anni a tirare le somme o forse a tracciare altre linee temporali, chissà. In realtà sto andando a braccio e non so cosa ne uscirà fuori, ma c’è quella esigenza che tu conosci bene.

Era giugno 1985. Un otto giugno di 40 anni fa, per la precisione. Nelle scuole già si iniziava a pensare all’estate. I progetti erano semplici e spontanei: le vacanze, il mare, i vestiti leggeri. E poi finalmente con i motorini si potevano fare giri più lunghi convinti che l’estate sarebbe durata tantissimo.

Eppure quell’estate è stata diversa dalle altre, anche dalle passate. I juke box sui lidi mandavano all’infinito le tue canzoni precedenti e vivevamo tutti in un’attesa infinita, convinti che il nostro futuro sarebbe stato tutto da definire e che ce lo avrebbero lasciato fare.

Dicevo: era il 1985 ed era l’otto giugno. Qualcosa avrebbe cambiato le nostre prospettive, illuminandoci sul reale senso di ciò che saremmo stati una volta adulti, nel 2000. Il primo gennaio del 2000 e il 31 dicembre del 1999: due date tanto enigmatiche quanto attese.

Non so se abbiamo seguito pedissequamente il tuo monito, non so se abbiamo capito subito ciò che tu invece avevi intuito della vita. Sebbene tu avessi solo poco più di trenta anni la tua sensibilità e il tuo talento erano ben oltre l’età anagrafica.

Non so quanti di noi all’epoca avessero capito il carpe diem del risveglio oppure l’humus di un terreno comune che voleva far esplodere i suoi semi. Sta di fatto che noi quegli anni li abbiamo vissuti tra una sfiducia e un fiato di speranza.

Gli anni duemila erano a un passo da noi, molto più vicini di ieri: erano il futuro prossimo, ma anche il timore di ciò che saremmo stati una volta adulti. Ce lo hai detto sottolineando che “La vita è adesso. Il sogno è sempre”.

L’attesa l’hai raccontata attraverso le tue canzoni esattamente come hai saputo raccontare la solitudine interiore e quei “discorsi chiusi dentro”.

In questi quaranta anni siamo cresciuti insieme: tu stupendoci con altre bellezze, noi con orecchie pronte ad ascoltare mentre la vita andava avanti.

La copertina del disco del 1985

Quell’otto giugno 1985 tenevamo tra le mani un trentatre giri nuovo di zecca. È stato bellissimo scartare il cellophane che lo proteggeva. Non sapevamo ancora che sarebbe stato il disco di tutti i tempi per le vendite: quello sarebbe stato il futuro, ma tu ci hai consigliato di stare comunque nel presente, lanciando un sogno nel futuro.

È stato bellissimo quell’otto giugno 1985 tirare fuori il vinile colmo di carica elettrostatica, lucidissimo e nero, metterlo sul piatto e ascoltare il primo suono e la prima frase.

“Ben tornato a questo sole” non è stato solo il primo passo di quel viaggio. Dentro quella frase c’era il mondo sognato e la realtà, c’era il presente e il futuro. Ma c’era soprattutto quell’adesso, il momento che non puoi lasciare sfuggire perché il quel momento sei realmente vivo, sei realmente tu. Non è né il prima né il dopo. Un attimo fa tu non eri ciò che sei nell’adesso e non sei neanche il futuro dell’attimo precedente. Nell’adesso è condensato tutta l’essenza della vita. È l’attimo che vivi in cui non pensi, non programmi, non respiri, ma nello stesso tempo racchiude tutto.

Nella giornata che tu hai raccontato in quel disco c’è quell’attimo che magari un giorno rimpiangeremo o ricorderemo con felicità. Ti pare poco?

Ecco, caro Claudio, a distanza di quaranta anni io non so quanto sia rimasto di quel 1985, di quell’adesso. Alcuni di noi si sono sposati e hanno avuto figli; altri viaggiano ancora da soli. Alcuni di noi hanno realizzato un lavoro; altri lo hanno perso o mai avuto.

Potrei citare la nevicata storica di gennaio 1985 mentre “Questo piccolo grande amore” veniva proclamata “la canzone d’amore del secolo”. Oppure potrei citare Mario Bros – il piccolo omino – o la strage dell’Heysel. Come vedi, tante cose poi portano a te, alla tua musica.

Una cosa era certa: guardavamo il mondo e il futuro con la speranza che sarebbero stati migliori di quell’adesso. Che noi saremmo stati migliori degli adulti. A bordo dell’auto del “ritorno al futuro” abbiamo sperato nell’amore umanitario del Live Aid, salvo poi capire in seguito che chi partecipava a questi eventi non era poi così sensibile al destino dell’umanità. Eppure ci abbiamo sperato.

È stato bello partecipare al tuo tour quell’anno. È stato bello attendere la diretta TV dell’ultimo concerto allo Stadio Flaminio. Abbiamo poi però capito che nelle famiglie non c’è il dialogo né la comprensione per un adolescente; abbiamo poi compreso che anche il più disgraziato tra i violenti è stato un giorno bambino e ha avuto la paura del buio. Le stesse paure e le stesse gioie di tutti i bimbi; abbiamo capito che un treno non significa solo una fuga da un mondo brutto, ma anche una stazione di arrivo in un posto sicuro. Abbiamo capito che le persone si possono perdere, ma che possiamo dormire tranquilli dalla parte del cuore.

Il 1985 secondo l’oroscopo cinese è stato l’anno del bue che rappresenta la prosperità ottenuta con la tenacia. Ecco forse questo anno strategico è nato in quella abbondanza di fiducia nella vita. Non so quanta fiducia sia restata e quanta sia andata via.

Oggi, tra le mani abbiamo questa nuova versione di quel disco che ha “un cappotto nuovo”. Il tuo viso è diverso, ma anche il nostro non è più lo stesso. Non abbiamo più i motorini, non usiamo più i gettoni per telefonare, ma quel disco è di nuovo qui con il suo cellophane e il profumo di intonso.

Nuovi suoni, nuove parole, nuove intenzioni. L’atmosfera degli anni ottanta sembra confondersi e forse perdersi nel nuovo. Non è un rimpianto, ma è consapevolezza che siamo tutti cambiati e che a qualcosa dobbiamo rinunciare come, ad esempio, a una parte del finale della coda struggente di “Tutto il calcio minuto per minuto” o a quel “ciancicate” che tanto dava spazio all’immaginazione.

Ieri, “A soli tredici anni dal duemila” era il futuro, la speranza, il sogno. Oggi, “A soli 25 anni dal duemila” è il passato, ma siamo ancora qui a saltare sulla vita delle nostre ultime note.

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