A Nocera Terinese si rinnova il rito secolare dei Vattienti: tra sangue, fede e devozione, la comunità si stringe attorno alla Madonna Addolorata nella Settimana Santa
In un silenzio carico di devozione, rotto solo dal ritmo cadenzato dei tamburi e dal rumore secco della flagellazione, si rinnova a Nocera Terinese uno dei riti più crudi e affascinanti della Settimana Santa: quello dei Vattienti. Un’antica pratica devozionale che, tra dolore fisico e profonda spiritualità, affonda le sue radici nei secoli e continua a scandire il tempo pasquale della cittadina tirrenica del Catanzarese.
Ogni Venerdì e Sabato Santo, le vie del borgo si popolano di uomini scalzi, vestiti di nero, che si infliggono ferite sulle gambe con strumenti simbolici: la Rosa e il Cardo. Quest’ultimo, in particolare, è un disco di sughero su cui sono incastonati tredici frammenti di vetro — dodici per gli apostoli, uno per Cristo — che lacerano la pelle dei flagellanti, facendo colare il sangue lungo i polpacci. Un vino rosso, versato da un accompagnatore, disinfetta e lava le ferite: un gesto che ha il sapore del simbolico, ma anche della cura.
Al centro della processione, la statua seicentesca della Madonna Addolorata, una pietà lignea di scuola napoletana, portata in spalla dai membri della confraternita dei portantini. Tra loro c’è anche Vittorio Orlando, devoto storico, che racconta con voce rotta dalla commozione: «La Madonna e Gesù mi danno la forza. Dopo un’operazione al cuore non riesco più a fare l’intero percorso, ma continuo a flagellarmi davanti alla chiesa, solo per lei. La fede ti guida, anche quando il corpo non ce la fa più».
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i Vattienti non formano una confraternita ufficiale: ogni partecipante sceglie liberamente di vivere questo atto di penitenza, spesso in piccoli gruppi familiari o anche da solo. Una ritualità intima, che nasce e si trasmette dentro le case, fin da bambini. Come racconta Emanuele Rotundo, 40 anni, che da un decennio si unisce al rito: «Non c’è una vera spiegazione razionale. Qui cresci con questo legame, con la Madonna. Non è una statua da museo: è una madre. A lei parliamo, a lei chiediamo, a lei rendiamo grazie».
Lungo il corteo, accanto ai Vattienti, camminano anche due figure emblematiche: l’Ecce Homo, solitamente un bambino con una croce sulle spalle e una corona di spine, che rappresenta il Cristo sofferente; e il portatore di vino, che assiste il Vattiente durante l’autoflagellazione.
Il rito può apparire cruento, incomprensibile agli occhi esterni. Ma qui, a Nocera, ogni colpo di vetro è una preghiera, ogni goccia di sangue un’offerta. In un’epoca dominata dalla razionalità e dall’immagine, i Vattienti ci ricordano che la fede, quella più viscerale, è ancora capace di ferire la pelle pur di toccare l’anima.
E quest’anno, raccontano i noceresi, c’è stato anche spazio per un segno di grazia: una giovane del paese, colpita da un grave male, ha ricevuto una guarigione inaspettata. Per la comunità non è un caso. «Forse – dice Rotundo – abbiamo capito quanto lei, la Madonna, è con noi. E quanto noi siamo con lei».
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