Quando Papa Francesco ricordò Cocò Campolongo ucciso dalla mafia

Il piccolo Nicolas "Cocò" Campolongo (fonte: il mattino)

Papa Francesco è noto per il suo impegno contro la criminalità organizzata e per promuovere la giustizia e la pace

Il Papa ha visitato la Calabria in diverse occasioni, portando il suo messaggio di speranza, pace e solidarietà.

La Calabria, con le sue sfide legate alla criminalità organizzata e alla povertà, ha ricevuto con entusiasmo la visita del Papa, che ha spesso parlato dell’importanza di combattere la ‘ndrangheta e di promuovere valori di giustizia e legalità.

La sua presenza è stata un segnale forte di vicinanza alle persone nella nostra regione e un invito a costruire un futuro migliore. 

La visita in Calabria del Papa e la scomunica dei mafiosi calabresi

Qualcuno ancora ricorda quando il Papa venne in Calabria nel 2014 e quando tuonò l’eco della scomunica per gli ‘ndranghetisti. Papa Bergoglio, scomparso ieri a Roma, pronunciò questa frase assieme alla richiesta di combattere la ‘ndrangheta “perché adora i soldi e disprezza il bene“.

Una forte condanna che Francesco emise il 21 giugno del 2014, nella Piana di Sibari, davanti a duecentomila fedeli in chiusura della visita pastorale a Cassano allo Ionio, in provincia di Cosenza.

Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro – disse Papa Bergoglio durante l’omelia – si apre la strada al peccato, all’interesse personale e alla sopraffazione.”

All’epoca era ancora forte il dolore e lo sdegno per la morte del piccolo Cocò Campolongo ucciso a soli tre anni e bruciato ancora vivo nella campagne del nonno che aveva sfidato la ‘ndrangheta.

All’epoca Bergoglio espresse la sua rabbia con queste parole: “Mai più bimbi vittime di tali atrocità, mai più vittime della ‘ndrangheta. Dio mai condanna, sempre perdona, ma mai perdona soltanto, sempre perdona e accompagna, tutti.”

La storia di Nicolas “Cocò” Campolongo

Suo nonno, il boss della droga Giuseppe Iannicelli, lo portava sempre con sé per scoraggiare i sicari. Iannicelli era l’uomo della droga che aveva il monopolio dello spaccio tra Firmo, Lungro ed Acquaformosa, comuni in provincia di Cosenza.

Purtroppo quel giorno non fu sufficiente la sua presenza e anche il piccolo Cocò perse la vita, dato alle fiamme ancora vivo.

Nella strage di Cassano all’Ionio del 16 gennaio 2014, il bimbo vittima innocente di mafia aveva solo tre anni, ma la sua storia è ancora viva.

Il piccolo Nicola, Cocò di tre anni era il figlio di Antonia Iannicelli, il Tribunale lo aveva affidato al nonno dopo l’arresto della ragazza per spaccio di droga. Il bimbo infatti era nato in carcere.

Fu il fratello maggiore di Cocò – appena 14enne – a scoprire i corpi carbonizzati del nonno, della sua compagna marocchina e del piccolo fratellino.

Infatti, quando rientrò a casa vide una colonna di fumo nella campagna della famiglia e una macchina bruciare con dentro i tre corpi.

Era il 16 gennaio 2014: il giorno in cui la ‘ndrangheta uccise un bimbo innocente.

Secondo le indagini medico legali i tre sono furono prima freddati a colpi di pistola e poi dati alle fiamme.

Nel 2019 La Corte d’Assise di Cosenza condannò Cosimo Donato detto “Topo” e Faustino Campilongo all’ergastolo per il triplice omicidio efferato.

I motivi dell’omicidio del bimbo non sono mai stati rivelati, ma fu sicuramente perché, sebbene piccolo, Cocò avrebbe potuto riconoscere i killer visto che frequentavano la sua casa.

La tragedia colpì anche l’adolescente fratello. Infatti, dovette rivivere gli ultimi momenti del nonno, della sua compagna e di Cocò durante il processo.

Infatti, il fratello quella stessa sera incontrò i killer per strada poiché, non riuscendo a trovare il padre, chiese loro delle informazioni. Il ricordo dell’odore della polvere da sparo e di benzina inchiodò gli assassini.

Per la madre del piccolo Cocò Antonia, figlia e madre di due vittime, fu disposta la detenzione domiciliare.

bambini calabresi incontrano Papa Francesco
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