Nuovi contagi Covid: l’analisi di Codacons Calabria e associazione “I Quartieri”

Alfredo Serrao (I Quartieri)
Alfredo Serrao (I Quartieri)

Riceviamo e pubblichiamo la nota stampa Alfredo Serrao (Associaione I Quartieri) e di Francesco Di Lieto (Codacons Calabria).

La Dea fortuna ha abbandonato la Calabria. Era stata l’unica difesa nella prima fase della pandemia del Covid-19, la fortuna, tanto che aveva impedito il dilagare del virus, in presenza di un sistema sanitario colpevolmente non pronto. La fortuna non ci assiste più e la sanità calabrese, da sempre terra di ruberie e di posizioni consolidate degli amici protetti, dimostra la sua incapacità storica e criminale.

I dati del contagio del Covid sono ormai allarmanti in termini numerici ed in termini di capacità di affrontarli sul piano sanitario, sono trascorsi i mesi inutilmente ed il rischio, che si doveva calcolare, è stato banalizzato sotto l’ottica della dieta: in Calabria si rischiava solo di ingrassare…

Oggi i nodi ritornano al pettine ed il sistema sanitario calabrese rischia il tilt, lo affermano i direttori dei reparti di Malattie Infettive che gridano l’allarme, mentre il potenziamento delle terapie intensive previste dal decreto Rilancio ci consegna un dato inesistente, l’aumento di 6 unità, però abbiamo i respiratori imballati, senza il personale visto che da soli servono a poco.

Le responsabilità sono diffuse, ma oggi non è tempo di ricercarle, ci sarà tempo e modo passata la crisi. Sono le stesse responsabilità che in presenza di focolai diffusi a macchia di leopardo sul territorio calabrese, ci riportano dati preoccupanti, perché si tratta in sostanza di un geronticidio, nelle RSA e nelle strutture protette del territorio. E’ questo un delitto anche morale, perché quelle categorie fragili, che bisognava proteggere sono di nuovo esposte, senza nessuna protezione al virus. Queste strutture rischiano di rivelarsi come dei cimiteri a cielo aperto, è l’unico orizzonte di libertà, considerata la reclusione imposta agli anziani, quella che non è mai una protezione, bensì l’ammissione di un incapacità dai profili penali, di chi dovrebbe tutelarli.

Questa forma di reclusione, nelle prigioni “non” dorate delle RSA è un reato che dovrebbe imporre alle procure calabresi di indagare, soprattutto per la mancata adozione delle procedure previste dalle ordinanze regionali, nello specifico la n. 20 del 27 marzo 2020 che disponeva: “che siano sottoposti al test per la ricerca di Covid-19/SARS-Cov-2: a) tutti gli operatori sanitari, delle strutture pubbliche e delle strutture residenziali (RSA, RSM, Case protette, Case di riposo, etc…), private e private/accreditate, soggetti ad esposizione; b) i pazienti ospedalizzati e tutti gli ospiti delle strutture residenziali (RSA, RSM, Case protette, Case di riposo, etc…) che hanno segni e sintomi compatibili con Covid-19, con particolare riferimento agli individui sintomatici e dagli individui con patologie croniche e/o uno stato immunocompromesso (ad es. Diabete, malattie cardiache, assunzione di farmaci immunosoppressori, malattia cronica, malattia renale cronica) che possano porre tali soggetti a rischio più elevato di esiti sfavorevoli”.

Il risultato ad oggi è nullo, perché il tracciamento se è avvenuto è stato parziale, su tanti troppi pazienti non sono stati attivati i controlli per la ricerca del virus, mentre il personale che comunque ha una vita sociale, non è stato tracciato con regolarità al fine di impedire la diffusione nelle strutture che si definiscono protette. C’è una violazione palese delle disposizioni, che prevedevano la revoca degli accreditamenti, ma nessuno ne parla, nessuno attiva i controlli e le Asp territoriali che hanno la delega al controllo, come sempre per un diffuso sistema di complicità, si dimenticano di svolgere il loro compito.

Di chi sono le responsabilità se oggi, in questi giorni siamo costretti a leggere nuovamente la presenza di contagi nelle RSA? Come è entrato nuovamente il virus nelle strutture, se queste sono inibite all’ingresso dei parenti, salvo che non si tratti di comprovato motivo d’urgenza: in caso di fine vita (sic!).

Chi ci darà queste risposte? Chi avrà il coraggio morale di spiegare ai familiari – ai quali è stato impedito in alcune situazioni di vedere i propri parenti neanche da dietro un vetro – che i loro congiunti anziani e fragili rischiano di morire come le mosche, reclusi da un sistema sanitario-carcerario più restrittivo del 41 bis? Chi spiegherà loro che tante strutture sono strutturalmente inadeguate alle misure di contenimento della pandemia, non potendo distinguere in sicurezza percorsi Covid da percorsi No Covid, magari con personale dedicato?

“Walking dead”, morti che camminano, questo sono i nonni sequestrati nelle RSA in Calabria. Le risposte a tante inadempienze, a tante responsabilità anche di ordine penale di chi governa il sistema e di chi non controlla, diventano oggi impellenti, non più prorogabili e non più oscurabili dalle complicità e dalle amicizie non svelabili della sanità in Calabria.

Non saremo noi, come hanno fatto altri in modo assolutamente immorale, a fare la caccia all’untore del momento, perché sono il più delle volte figure sanitarie e non, da sempre sfruttati e mal pagati – quando gli imprenditori in sanità si ricordano – perché sarebbe una guerra fra poveri, fra chi, insieme a qualche “medico di campagna” – come ama definirsi – con caparbietà e con senso del dovere, riescono a gestire una crisi sanitaria seria e senza armi.

Saremo invece noi a chiedere la responsabilità alla politica regionale ed alla burocrazia sanitaria, quella che non può essere sottaciuta, attivando nelle more e secondo le modalità di conoscenza, l’azione della Autorità Giudiziaria, che anche questa volta, è chiamata ad intervenire per tutelare la salute pubblica e la vita degli anziani.

Chiederemo una verifica stringente e feroce dei requisiti per la conferma degli accreditamenti al Servizio Sanitario Nazionale, senza sconti per nessuno e senza voltare lo sguardo rispetto a complicità storicamente consumate. Chiederemo, dopo, una verifica di un sistema che ha manifestato con tutta la sua responsabilità, ai limiti del criminale, il suo fallimento in termini di risposta sanitaria e di rispetto dall’umanità più elementare.