Austerity, saremmo pronti a tirare fuori le biciclette di 50 anni fa?

Un'immagine del periodo dell'austerity anni 70 (fonte:pintarest)

Il termine anglosassone “austerity” significa “vivere senza le cose superflue, con a disposizione poca liquidità di denaro e anche una quantità limitata di beni di consumo”.

Nello specifico, ma in maniera molto semplicistica, l’austerity “è una difficoltà economica che i cittadini devono affrontare a causa della esigua quantità di soldi che il Governo spende per le necessità essenziali del Paese”.

Evidentemente, gli anglicismi non appartengono solo alla nostra epoca

Quando 50 anni fa il Presidente del Consiglio dei Ministri Mariano Rumor apparve in TV per spiegare agli italiani che stavano affrontando un periodo di ristrettezze, usò proprio questo vocabolo.

Forse un anglicismo avrebbe sminuito il significato intrinseco di un’epoca che volgeva al termine?

Infatti, la situazione alla fine del 1973 era veramente buia e senza previsioni precise.

L’equivalente italiano “Austerità” avrebbe avuto un altro impatto emotivo sugli italiani benedetti dal boom economico? Forse sì o forse no. Sta di fatto che all’epoca fu un temine inflazionato tanto da inspirare canzoni e film.

L’aumento dei prezzi del grezzo e la crisi occidentale

Chi è nato prima degli anni Settanta, sicuramente ricorderà quel periodo storico, a cavallo ottobre 1973 e 1974, in cui anche l’Italia dovette ridurre drasticamente il consumo energetico della Nazione, in seguito alla crisi petrolifera del 1973.

La causa principale fu un aumento del prezzo del greggio dovuto a motivi geo-politici.

Senza entrare troppo nel dettaglio storico politico, potremmo dire che i Paesi aderenti all’OPEC dal 1970 decisero un aumento del petrolio consistente, sostenuti dalle famose “sette sorelle” che avevano la supremazia nel mercato.

Uno scenario molto simile a quello attuale in cui i prezzi del combustibile sta aumentando in maniera vertiginosa causando danni in tutti i settori del mondo occidentale, ma soprattutto in quelli italiani.

L’austerity e il sogno infranto degli anni Sessanta

Negli anni Settanta, la crisi non riguardò solo l’Italia, bensì tutto l’Occidente. L’Italia per la prima volta vide venire meno l’ebbrezza degli anni del boom economico del dopo guerra. Tutto il mondo occidentale fu costretto ad affrontare il risparmio energetico.

Per alcuni Paesi si avrà come conseguenza la scelta della realizzazione delle centrali nucleari.

L’Italia invece cosa scelse? Sicuramente, oggi stiamo pagando il prezzo di soluzioni sbagliate ed eventi sottovalutati.

All’epoca, in Italia il prezzo della benzina e di tutti i combustibili arrivarono alle stelle, costringendo gli italiani ad affrontare una spesa proibitiva. Ormai le auto non erano più appannaggio di famiglie ricche.

Possedere una o anche due automobili era abbastanza comune per la classe media. I beni di consumo erano presenti in quasi tutte le case degli italiani.

“Austerity, se non vuoi andare a piedi compra l’asino”

Cantava così il simpatico Tony Santagata in una canzone dedicata proprio all’austerity.

Sebbene ci fosse anche la capacità di essere ironici, la realtà era ben diversa.

Il Governo impose delle regole rigide la cui infrazione avrebbe portato a sanzionare con multe fino a un milione di lire. Una cifra enorme se pensiamo che uno stipendio medio poteva arrivare a centomila lire e il costo di un caffè arrivava a 4 centesimi. In pratica, una multa era pari al costo di una Fiat 500 nuova di zecca.

Si puntò nella sostanza a una forma primordiale del moderno lock-down.

Ciò che si ricorda di più è il blocco della circolazione delle auto durante tutte le festività. Successivamente si passò alla circolazione delle auto a targhe alterne: una domenica le targhe che finivano con un numero pari, la successiva domenica toccava alle targhe dispari.

Essere “beccati” alla guida di un’auto “illegale” avrebbe portato, non solo al pagamento della multa salatissima, ma anche al sequestro immediato del veicolo. Una situazione abbastanza grave se si fosse realizzata perché, nonostante il benessere economico di quel periodo, le famiglie medie non navigavano sicuramente nell’oro.

Quotidiano che annuncia l’austerity (fonte: vanillamagazine)

Inizialmente, la notizia non fu accolta bene. Era comprensibile: la domenica era dedicata alla famiglia, alle gite fuori città e a quello che oggi definiremmo “shopping”.

La circolazione era consentita solo ai veicoli “essenziali”. A parte i mezzi pubblici, potevano transitare solo le ambulanze, i mezzi militari, le auto dei medici e quelli delle ambasciate.

Non possiamo sicuramente fare un processo alle intenzioni: però all’epoca a queste limitazioni si dovettero adeguare anche i ministri e addirittura il Presidente della Repubblica, oggi sarebbe lo stesso?

L’austerity potrebbe succedere anche oggi: come reagiremmo?

All’epoca, i negozi chiudevano alle 19; Le insegne venivano spente prima, gli spettacoli finivano alle 22, il riscaldamento doveva stare sotto i 20°. Per le strade e anche sulle autostrade c’erano limiti di velocità più ridotti rispetto al normale. L’austerity portò a un cambiamento radicale delle abitudini degli italiani.

Le limitazioni cha abbiamo avuto soprattutto a inizio pandemia Covid hanno causato polemiche e portato a una crisi in tanti settori economici.

Anche all’epoca, i ristoratori e proprietari dei bar esternarono il loro malcontento e protestarono contro le scelte del Governo italiano degli anni Settanta.

Lo scenario poteva essere catastrofico, invece il dato alquanto curioso è che alla fine tutti si adeguarono abbastanza facilmente. Anzi, lo spirito degli italiani fu animato da una nuova conquista: quella del suolo pubblico senza auto d’intralcio, lungo strade silenziose.

L’austerity anni Settanta: per tanti restaurazione romantica e bucolica di ciò che avevano dimenticato

I bambini giocavano per strada. L’asfalto era un campo di calcio oppure il posto dove si poteva saltellare al gioco della campana. Le biciclette divennero il mezzo di trasporto preferito anche per gli adulti e non era affatto raro trovare per strada cavalli e carrozze.

Certo, ci furono anche i trasgressori. Famoso fu l’episodio che vide sanzionata l’attrice Sylva Koscina per avere violato il divieto. Finì sui giornali non sicuramente per il nuovo film.

Ciò che gli italiani scoprirono il 2 dicembre 1973 fu la limitazione della propria vita, ma anche una restaurazione romantica e bucolica di ciò che avevano dimenticato dopo la guerra.

Un altro lock-down energetico potrebbe influenzare positivamente la qualità della nostra vita?

Eppure, ciò che poteva apparire come una misura quaresimale ebbe una conseguenza imprevedibile. Nei giorni di festa le città si trasformarono in un festival della mobilità precaria. Una società che doveva essere intristita dagli scenari neri, a cui avevano spento il sole dell’ avvenire, depressa per l’ incertezza del futuro, cominciò a sciamare per le strade svuotate dalle macchine, usando qualsiasi attrezzo o mezzo di locomozione “alternativo”. (Quando l’austerity spense la luce di Edmondo Berselli per Repubblica, 2005).

Prendendo in prestito una famosa canzone degli anni Settanta di Rino Gaetano: “Il riscaldamento centralizzato più ti scalda e più conviene”.

Oggi la definiremmo “una scelta green“, ma un po’ è avvenuto durante la pandemia quando si aveva paura di entrare nei mezzi pubblici e si preferiva fare una passeggiata. Anche all’inizio dell’era Covid non era raro trovare animali selvatici per le strade e addirittura sulle spiagge. L’uomo non era più il terrore. Magicamente era sparito di scena e la fauna si era riappropriata della natura.

Riprendere idealmente la bici potrebbe essere una scelta etica per lasciare respirare la terra nuovamente.

Non siamo più negli anni Settanta

Certo, se guardiamo all’aspetto economico e politico c’è poco da stare allegri.

La crisi energetica di oggi è vincolata da una guerra in corso i cui risvolti sono ancora ignoti. Certo, anche all’epoca c’era in corso una guerra che riguardava Israele, ma tutto venne assorbito diversamente.

La cosa che appare ovvia e scontata è quanto le scelte economiche (e ovviamente politiche) di un Paese influiscano sull’aspetto sociale i cui risvolti però sono imprevedibili.

A giugno del 1974, quando il periodo di austerity finì, l’Italia era ancora in forze per riprendersi. Tutto sommato, l’ottimismo e il benessere non furono totalmente persi. Anzi. Per esempio, la canzone italiana vedeva la nascita del cantautorato – un periodo d’oro per tutto il mondo dello spettacolo e della cultura – . Le famiglie incominciavano a sostituire le vecchie TV passando idealmente dal mondo in bianco e nero degli anni dell’austerity andando incontro a quello a colori delle più moderne TV.

Il mondo del lavoro era ancora accessibile appena diplomati. Si compravano anche le seconde case. Il mattone era un investimento e si poteva mettere da parte un gruzzoletto per la vecchiaia. Insomma, la sensazione era che tutto non fosse ancora totalmente perso.

Non era tutto rose e fiori, ovviamente, gli anni di piombo, gli scontri sociali e il panorama politico non erano affatto tranquillizzanti.

Oggi il contesto sociale è differente. La precarietà è il comune denominatore, il potere d’acquisto degli stipendi è basso. Tutto costa molto di più. Si fatica a comprare la prima casa.

Chissà come vivremmo l’eventualità di un nuovo austerity tra green pass e un virus che ancora non è completamente uscito dalla narrazione dei quotidiani. Non abbiamo fatto in tempo a dichiarare il “game over”: siamo in mezzo a una guerra nuova.

Se si dovesse verificare un nuovo periodo di austerity dovremmo solo far affidamento al nostro innato ottimismo e forse tirare fuori dalla cantina quella bicicletta di 50 anni fa, vecchia e arrugginita alla quale manca un po’ d’olio.