La ‘Yorkshire ‘Nduja’: un gustoso mistero di origine

La 'Yorkshire 'Nduja'
La 'Yorkshire 'Nduja'

La ‘Yorkshire ‘Nduja’, un salame piccante ‘Made in England’ che sfida il concetto di ‘Made in Italy’ e scatena un dibattito sull’identità culinaria

Nell’era dell’orgoglio nazionale nel campo gastronomico e della promozione del “Made in Italy” nel mondo anglofono, si verificano episodi insoliti come questo. E, per l’appunto, sul mercato fa la sua comparsa la “Yorkshire ‘nduja”, un’indulgenza gastronomica dall'”eccezionale sapore”, nata dalle “straordinarie esperienze culinarie” (come riportato testualmente nella loro homepage) della “Lishman’s butchers and charcutiers,” un’azienda di macellai e salumieri con sede a Ilkley, una pittoresca cittadina termale situata nel West Yorkshire, nel Nord dell’Inghilterra, a 366 chilometri di distanza dalla frenetica Londra. Ma ciò che sorprende ancor di più dei chilometri che separano Ilkley dalla capitale britannica sono quelli che separano questa impresa da Spilinga, la patria dell’insaccato piccante, situata in provincia di Vibo Valentia: una distanza notevole di 2.818 chilometri.

La peculiarità di questo caso ha attirato l’attenzione della rubrica settimanale “Tuttifrutti” di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, accompagnata da una citazione presa direttamente dal sito web del negozio di salumi inglese. Quest’ultimo si prende il compito di “spiegare” la ‘nduja ai propri clienti: “Realizzata a mano con maiali dello Yorkshire. La ‘nduja è un salame morbido e spalmabile, condito con peperoncino e paprika che gli conferiscono un sapore molto piccante. Perfetta per essere spalmata sulla pizza, mescolata al pomodoro e grigliata sul pane, oppure aggiunta a piatti di pasta o stufati.” È sufficiente tradurre la prima frase per suscitare l’incredulità tra tutti i produttori locali: “Realizzata a mano con maiali dello Yorkshire.” Questa affermazione va contro il concetto di “chilometro zero,” delle feste gastronomiche e dell’identità culinaria locale. Invece, i maiali dello Yorkshire diventano il simbolo di questa strana appropriazione gastronomica.

Il resto dell’articolo è prevalentemente informativo e cerca di spiegare cosa sia la ‘nduja e come possa essere gustata al meglio. Tuttavia, è l’ultima osservazione di “Tuttifrutti” a destare preoccupazione: “Dopo il fallimento della difesa dell’originalità del Tocai (nonostante i ‘300 vitigni di Toccai’ portati in dote nel 1632 dalla contessa Aurora Formentini al suo sposo ungherese, e non il contrario), dell’Aceto di Modena imbottigliato in Germania, dei ‘Fast&Furious Garlic + Chilys Spaghetti’ o dei formaggi italiani prodotti nel Wisconsin (dal Provolone cheese alla Scamorzarella, dal Parmesan al Juusto Italiano Baked Bread Cheese fino allo Sharp Provolone), ora ci troviamo a subire il medesimo destino persino con i prodotti di nicchia…”. Rimane un mistero da dove provenga il peperoncino utilizzato nella “Yorkshire ‘nduja,” e forse è meglio non scoprirlo.