I segreti del misterioso Pamparito De.C.O. bontà rara di Vignanello

Il Pamparito del Forno di Ezio Gnisci

Alla scoperta del Pamparito De.C.O. di Vignanello, ma con una radice calabrese. Un pane dalle origini misteriose che potrete gustare presso il Forno di Ezio Gnisci in uno dei borghi più autentici della Tuscia viterbese

Parlare di prodotti unici e rari come ad esempio il Pamparito di Vignanello è sempre stimolante; se poi i luoghi di origine sono familiari perché ci riportano all’infanzia e alle radici, ecco che lo studio e la ricerca vanno oltre lo spirito giornalistico e diventano racconto, atmosfera e… storia.

Sì, perché anche la gastronomia è cultura e, come in questo caso, identità di un luogo specifico.

Vignanello lo ricordo ovviamente sin da bambina poiché la famiglia di mio padre viveva e vive tutt’ora tra Viterbo città e Vignanello. Di Vignanello ricordo soprattutto le noccioline sparse sul tetto del palazzo di mio zio, il vino buono, l’amore per la natura e il cibo. Credo che la pizza bianca di Vignanello sia uno dei ricordi più cari a me bambina. Allora però il Pamparito ancora non lo conoscevo.

Ma non è autobiografismo ciò che voglio fare. Non avrebbe senso. Invece, vi vorrei accompagnare tra i vicoli bellissimi e curati di questo borgo, della semplicità della vita che ancora gli abitanti conducono e dei valori morali che ancora esistono. In sostanza, parliamo dell’Amore come bene supremo, come attività umana volta al bene collettivo.

Al di là del mio affetto, c’è oggettivamente un mondo da scoprire a Vignanello, anche gastronomico, e poi tanta storia.

Arrivati a Vignanello, magari dopo una visita alla stupenda e vicina Sutri e una visita al Castello Ruspoli con il suo giardino curatissimo, è altamente consigliato provare il Pamparito soprattutto perché non lo troverete altrove.

Tutti coloro che lo hanno assaggiato almeno una volta ne restano entusiasti, ancor di più se accompagnato con l’ottimo vino locale pluripremiato, con affettati formaggi della Tuscia o con le verdure di stagione. È gustoso anche come bruschetta, caldo. Il suo profumo e il suo sapore difficilmente verranno dimenticati.

Il nome così buffo pare abbia diverse etimologie, ma nessuna è certa. Un tempo era sicuramente un pane usato dalle famiglie più abbienti del paese e il suo nome è stato tramandato solo oralmente per generazioni fino a far perdere le origini.

Ma se avrete la pazienza di leggere fino in fondo, vi racconterò qualche dettaglio in più.

Intanto, sarebbe interessante parlare anche di un forno artigianale dove potrete degustarlo e magari farvi raccontare dal proprietario – Ezio Gnisci – la storia di questo particolare prodotto e anche di altre leccornie che troverete in questo laboratorio gastronomico.

Questa è la storia della riscoperta di un prodotto autoctono e validissimo che affonda le radici nel mondo contadino di un tempo, ma anche della passione del proprio mestiere e il rispetto delle origini perdute.

“Si tte comporti bbene fin’ a PPasqua,
te port’ a CCentignano c’ ‘a bbarozza;
p’ i ffigli port’ ‘a Pupa c’ ‘a Scarzella,
p’ i ggranni i’ PPamparit’ e ‘a Pizz’ ‘e Pasqua”

Il borgo di Vignanello rappresenta uno dei posti più incantevoli del Lazio ed è precisamente nel viterbese, a un passo da Roma. Si arriva percorrendo la Cassia bis per poi immergersi immediatamente nella natura.

È il luogo ideale per una classica gita fuori porta, alla ricerca di storia, ottimo cibo e un angolo della natura. Si trova a 369 metri slm, vicino ai Monti Cimini e si erge nel territorio suggestivo della Tuscia.

Il Pamparito gustato con le verdure

Durante il periodo di Pasqua, i bambini vignanellesi di una volta imparavano a memoria la simpatica filastrocca sopra descritta che anticipava la Pasquetta, generalmente svolta in località “Centignano“, dove appunto si gustava questo pane particolarissimo, dal retrogusto di anice. Contiene anche il sale, cosa abbastanza rara nella panificazione viterbese che preferisce il pane sciapo, ma dopotutto era un pane occasionale, delle feste, dell’abbondanza.

Il giorno della Pasquetta era quello in cui la gente del paese si ritrovava per stare insieme con canti, balli e anche scherzi. La Pasquetta iniziava con una sorta di pellegrinaggio verso il Santuario di Sant’Eutizio e dopo la messa si trascorreva la giornata con un ricco pasto. Era un momento non solo religioso, ma era soprattutto un frammento di vita quasi unico dell’anno poiché la povertà non consentiva di mangiare bene sempre. Con l’avvento del consumismo e con il benessere economico, questa tradizione, come tante, si è persa.

Il nome Pamparito pare derivi proprio dal fatto di essere un pane preparato durante la Pasqua. Io ho sempre pensato a una contrazione della parola “Pane del rito” ma ovviamente è una mia considerazione.

La “Pizza Usuale” di Vignanello era il dolce degli adulti nello stesso periodo, mentre la
Scarsella” e la “Pupa” erano i dolci per i bimbi.

Il forno di Ezio Gnisci celebra le tradizioni perdute divulgandole oltre i confini del borgo di Vignanello

Il nostro Pamparito attuale, per quanto sia di origine antica e incerta, è stato solo recentemente riscoperto grazie all’impegno e all’amore per la propria terra di artigiani che io definirei artisti della gastronomia.

Il maestro panificatore Ezio Gnisci ha origini calabresi. Infatti il nonno era nato a Paola, ma si trasferì giovanissimo a Viterbo dove ormai da un secolo la famiglia Gnisci ha radici stanziali.

Ezio è sempre vissuto a Vignanello e ama profondamente il territorio della Tuscia. Conosce ogni angolo della zona ed è un esperto dei prodotti di questa meravigliosa terra che ha tante eccellenze enogastronomiche.

Lui sforna ogni giorno il Pamparito ed è possibile trovarlo ancora caldo e profumato nel suo forno.

Infatti, Ezio Gnisci oggi ha un laboratorio artigianale nel centro storico di Vignanello dove prepara tantissime prelibatezze che fino a qualche anno fa era possibile degustare anche presso il suo piccolo, ma prezioso, ristorante Slow Food, creato in un angolo del paese risalente al 1563, a fianco del suggestivo Castello della famiglia Ruspoli. È facile trovare in giro i visitatori del maniero con in mano i prodotti del posto e in cerca del buon cibo e della tradizione vignanellese. Ottima è infatti la famosa acquacotta fatta con ingredienti poveri e la pignattaccia che è a base di carne stufata e il quinto quarto.

Il suo forno continua a produrre il Pamparito per gli intenditori e gli amanti delle bontà della Tuscia. Non è facile infatti trovarlo altrove poiché è un prodotto De.C.O. cioè di Denominazione Comunale d’Origine. Il che significa valorizzare il prodotto e allo stesso tempo renderlo “marchio privato ad uso collettivo” però nel rispetto in toto il Disciplinare redatto dal Comune di Vignanello.

Gli ingredienti del Pamparito: solo prodotti locali e di alta qualità

Nel Disciplinare redatto dal Comune di Vignanello è possibile conoscere anche la ricetta del Pamparito che prevede solo ingredienti del territorio e biologici.

Le norme di produzione prevedono: farina di tipo 0/00 locale, sale, Olio EVO di Vignanello, vino bianco di Vignanello DOC, anice, lievito di birra, acqua potabile locale e uova di gallina allevate a terra.

Non sono ammessi coloranti, conservanti, additivi, materie prime provenienti da prodotti
geneticamente modificati, né dolcificanti di alcun genere. È invece consentito l’utilizzo del
lievito madre.

La preparazione del “Pane Rito”

Secondo il Disciplinare le modalità del procedimento sono le seguenti.

Si scioglie il lievito nell’acqua tiepida e si aggiunge tanta farina quanto basta per formare
un panetto morbido e consistente. Lo si lascia lievitare per almeno 2/4 ore.
Separatamente si amalgamano in ordine: la farina, il sale, l’olio, i semi di anice
precedentemente lasciati in ammollo nel vino per almeno una mezz’ora e il vino stesso. Si
continua ad impastare il tutto fintanto che il composto non risulti ben amalgamato. A
questo punto si unisce l’impasto appena ottenuto al panetto lievitato precedentemente e si
lavora il composto a lungo ( si allarga con i pugni, si riavvolge su se stesso e si sbatte sul
tavolo…) dopodiché far riposare lo stesso, per una mezz’ora.
Si divide l’impasto in panetti allungati alle estremità e si dispongono modellati, su di una
teglia in ferro ben oleata, lasciandolo lievitare con le dovute accortezze.
Quando i panetti sono raddoppiati di volume, si spennellano con l’uovo sbattuto.

Si inforna ad una temperatura di circa 230 C°, per circa 40-45 minuti. Al termine della
cottura la crosta del Pamparito di Vignanello dovrà presentare una colorazione ed una
lucentezza che ricorda i marroni dei Monti Cimini.

Un po’ di storia del Pamparito

L’etimologia del termine Panparito, o Pamparito, o Pamparido, o Pambarito, è
sicuramente dialettale, ma è piuttosto incerta.

La cosa non deve meravigliare perché questo nome è stato tramandato solo oralmente e mai per iscritto. Quindi è altamente probabile che il suo nome iniziale sia stato storpiato, subendo magari anche cambiamenti più o meno leggeri.

Le donne più anziane del borgo di Vignanello asseriscono che questo particolare pane è sempre stato preparato a casa.

Una cosa è abbastanza certa. Non poteva essere un pane preparato da tutte le famiglie perché gli ingredienti erano costosi per chi non possedeva terre a disposizione per coltivare ulivi e allevare il bestiame. Anche per questo il Pamparito e il suo nome esatto era pressoché sconosciuto tra il popolo.

Nel Disciplinare si parla anche di questo. Infatti è riportato che: “Il termine Panparito, in uso verso la metà dell’Ottocento, quando l’analfabetismo si aggirava intorno all’80% della popolazione, poteva molto probabilmente derivare dal doppio termine Pan Parito, dove Pan sta per Pane e Parito (in latino) per “prepararsi a…”, “essere sul punto di …”: forse pane da prepararsi a Pasqua.
Con il trascorrere del tempo, la conoscenza grammaticale e l’unione dei due termini (Pan
Parito), nel rispetto della grammatica, che prevede la lettera “m” anteposta alle lettere “b” e
“p”, la parola “sintesi” Pan Parito potrebbe essersi trasformata nel più moderno termine,
grammaticalmente corretto, Pamparito.

Il Pamparito di Vignanello

Altre ipotesi etimologiche

Cercando documenti e attraverso i racconti della gente più anziana si è arrivati alla conclusione che l’origine del nome possa essere Pane per Marito o Pane Farcito.

Una volta era quasi normale che le donne preparassero il cibo per gli uomini che si recavano al lavoro nei campi. Quindi è altamente probabile che il termine Panparito derivi da una storpiatura del nome Pane per Marito. Ma potrebbe anche essere la derivazione del nome Pane Farcito per via della quantità degli ingredienti.

Per la verità, esiste anche un’altra ipotesi che pare faccia derivare il nome buffo da un altro ancora più improbabile: Parere Pane. Il fatto che il Pamparito sia un pane talmente particolare avrebbe portato a non definirlo per nulla paragonabile al… pane.

Come degustare il Pamparito

Fatto sta che è impossibile trovare un simile prodotto nei borghi confinanti fino a renderlo esclusivo del paese di Vignanello.

Il Pamparito è ideale per accompagnare antipasti a base di salumi, formaggi e verdure locali, ma è ottimo con le zuppe tipiche viterbesi a base di legumi. E poi anche nelle zuppe di pesce di lago e di funghi, nonché con il coniglio arrosto. Il tutto ovviamente accompagnato da un ottimo vino di Vignanello DOC.

A livello nutrizionale, il Pamparito fornisce circa 379 Kcal in 100 grammi di prodotto, ma alla dieta – come saggiamente diceva Rossella O’Hara – ci penseremo domani!

La pagina ufficiale del Forno di Ezio Gnisci

Il Castello Ruspoli a Vignanello