In Italia si muore sempre meno di cuore, ma al Sud si parte per sopravvivere: migliaia di pazienti costretti a migrare per ricevere cure che altrove sono un diritto
In Italia si muore meno di malattie cardiache rispetto al passato, ma non ovunque allo stesso modo. I numeri, presentati dall’Istituto Superiore di Sanità nel nuovo rapporto su Equità e Salute nelle Regioni, mostrano con chiarezza una realtà inaccettabile: chi vive al Sud ha meno possibilità di essere curato in modo efficace e tempestivo, e spesso è costretto a lasciare la propria terra per sopravvivere.
Dal 1980 al 2021, la mortalità per patologie cardiovascolari si è drasticamente ridotta — da 904 a 266 decessi ogni 100mila abitanti — grazie a diagnosi più rapide, cure più efficaci e una crescente consapevolezza dei fattori di rischio. Tuttavia, dietro questo successo complessivo, si nasconde un divario geografico profondo. Le regioni del Nord e del Centro viaggiano ben al di sotto della media nazionale. Al Sud, invece, i progressi sono parziali, e le falle del sistema si fanno sentire ogni giorno.
Fuga dalla Calabria: il 60% parte per curarsi il cuore
Emblematico il caso della Calabria, dove nel 2023 il 30% dei pazienti con necessità di bypass coronarico ha dovuto affrontare un viaggio fuori regione. Ancora più drammatico il dato relativo agli interventi sulle valvole cardiache: ben il 60% dei calabresi ha dovuto migrare per ricevere cure adeguate. Un trend simile si osserva anche in Trentino-Alto Adige, con una mobilità del 33% per i bypass e del 43% per le valvole, attribuita a una distribuzione non uniforme dei centri specialistici.
La Basilicata, pur con cifre più contenute, presenta comunque percentuali allarmanti: il 17% dei pazienti si sposta per un bypass, il 40% per operazioni valvolari. La migrazione sanitaria, in queste regioni, è diventata una prassi. E ogni viaggio rappresenta un costo: economico, psicologico, familiare.
Anni di vita persi, fiducia sgretolata
Le conseguenze si misurano anche in anni di vita persi. Gli uomini del Sud registrano tassi nettamente superiori alla media nazionale: in Campania 664 anni persi ogni 100mila abitanti per infarto, in Calabria 634, in Sicilia 608. La media italiana è di 569. Numeri che non raccontano solo un problema sanitario, ma una vera e propria questione sociale.
A peggiorare il quadro contribuiscono anche stili di vita poco salutari, più diffusi nel Mezzogiorno: obesità (10%), sovrappeso (33%) e sedentarietà in aumento (dal 23% al 28%) rafforzano il circolo vizioso tra malattia, povertà e accesso diseguale ai servizi.
Iss: «Colmare il gap territoriale»
Secondo Rocco Bellantone, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, “le differenze regionali dipendono da modelli assistenziali disomogenei, dalla prevalenza delle patologie e dalle risorse disponibili”. È necessario, afferma, un piano strategico mirato alle esigenze reali delle regioni più fragili. I dati del rapporto, sottolinea Bellantone, “possono e devono essere il punto di partenza per politiche capaci di ridurre le disuguaglianze sanitarie”.
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