Sulle tracce della ‘nduda: antica cugina della ‘nduja

La 'ndudda in fase di cottura

Qualche giorno fa mi è venuto in mente un amico che mi parlò per la prima volta della ‘nduda. In realtà, potrebbe anche essere denominata ‘ndudda o ‘ndhudha a seconda del dialetto e della zona, ma è sicuramente parte della tradizione contadina legata alla macellazione del maiale.

All’epoca dei fatti, la cugina ‘nduja non era ancora così famosa, commercialmente diffusa e apprezzata. In ogni caso, era già presente su alcune tavole calabresi lontane da Spilinga e dalla Costa degli Dei. Questo amico si riferiva però a un insaccato diverso, denominato ‘nduda e che lui pronunciò erroneamente ‘nduja, cosa che ancora oggi crea confusione proprio perché semisconosciuto. Al contrario del salume spalmabile e piccante le massaie lo cucinavano dentro le minestre o comunque in piatti a base di verdure.

Mossa dalla curiosità, recentemente ho voluto cercare informazioni più approfondite di questo salume fatto con le parti meno nobili del maiale e pare con il finocchietto. Per quanto si sa, la sua vita si è persa nel tempo a favore della cugina più fortunata che da Spilinga è arrivata anche all’estero grazie al mondo globalizzato.

Girando per internet non ho trovato nulla o quasi nulla sulla sfortunata ‘nduda. In realtà, l’unica fonte è un blog privato di una signora di Soverato che racconta, attraverso tanti dettagli, la preparazione dell’insaccato e il suo utilizzo.

La signora Barbara Froio è un’insegnante in pensione, ma è anche un’esperta di gastronomia calabrese e delle tradizioni culinarie che per la maggior parte sono state tramandate oralmente. Grazie a questi “volontari del gusto”, come li definisco io, tante cose si stanno recuperando prima che finiscano definitivamente nell’oblio del tempo. La signora Froio ha anche dedicato un libro a ricette antiche, quelle della propria famiglia, in particolare. Con un lavoro meticoloso, ha raccolto interessanti procedimenti di una cucina definita povera. Ma è povera solo per antonomasia, perché è al contrario una cucina ricca di ingredienti nobili e di sapori straordinari.

Tradizioni familiari che andrebbero preservate

Nel blog, si racconta la storia di questo insaccato attraverso i ricordi legati alla propria famiglia. A quei tempi, le preparazioni casalinghe erano preferite a quelle industriali che invece da lì a poco avrebbero sostituito le più antiche per questioni pratiche e logistiche.

Non credo però che il nome così simile alla ‘nduja sia casuale. Guardando la cartina geografica, la zona di Soverato e della Costa degli Aranci è esattamente speculare alla Costa degli Dei e quindi di Spilinga. In realtà, a dividere le due coste, tirrenica e ionica, c’è la montagna delle Serre dove – guarda caso – la ‘nduda è ancora, seppur raramente, preparata.

La signora Giovanna di Chiaravalle, e anche la signora Valentina di Cenadi, mi hanno infatti raccontato che la tradizione della ‘nduda è presente dove abitano. Inoltre, anche nelle Serre si sta purtroppo perdendo l’uso della preparazione casalinga ed è anche raro trovarla nelle macellerie artigianali che invece avrebbero motivo per mantenere la tradizione. Semplicemente, la ‘nduda non è richiesta. Vuoi per gli ingredienti del quinto quarto che generalmente fanno storcere il naso, vuoi per un gusto deciso, le nuove generazioni neanche conoscono questo insaccato e se viene nominato pensano alla ‘nduja.

Molto probabilmente, la preparazione di questo salume si sta esaurendo poiché è solo casalingo. Richiede tempo, pazienza e anche ingredienti di qualità che non sempre si trovano nelle macellerie moderne. Diciamo che forse, chi ancora macella il maiale a casa, conserva l’artigianalità e di conseguenza le tradizioni. Noi altri comuni mortali ci affidiamo ai supermercati e a qualche piccola azienda locale.

La ‘nduda: per la serie, “del maiale non si butta via niente”

Come ho già detto, questo insaccato viene preparato con le parti meno pregiate dell’animale: stomaco, lingua e scarti della carne per la precisione. 

Secondo la signora Froio, il nome lo prende proprio dallo stomaco che nel dialetto di Soverato viene chiamato ‘nduda.  

Dopo una stagionatura di almeno 60 giorni, la ‘nduda può essere consumata, ma rigorosamente cotta.

Considerando che la macellazione del maiale avviene a gennaio, la ‘nduda si può mangiare dunque a poco dopo l’inizio della primavera. Si aggiunge nelle zuppe e in piatti a base di verdure di stagione.  

Ingredienti e preparazione della ‘nduda

Dal blog della signora Froio, si riesce anche a conoscere la preparazione casalinga dell’insaccato e anche una ricetta tradizionale per il suo utilizzo.

  • Ingredienti per fare la ‘nduda: stomaco, lingua e filetto di maiale.
  • Per una buona riuscita è necessario che il maiale sia casareccio, perciò recatevi dal vostro macellaio di fiducia. Lavate per bene lo stomaco sotto l’acqua corrente. Poi mettetelo in un recipiente con la lingua (precedentemente spellata ) e ritagli vari di carne (io ho utilizzato del filetto). Salate e lasciate in salamoia per qualche giorno avendo cura di girare spesso i pezzi di carne per avere una salatura omogenea. Trascorso tale periodo lavate ed asciugate il tutto. Poi stendete lo stomaco, aromatizzatelo con pepe nero e peperoncino rosso piccante e posatevi sopra la lingua e il filetto. Spolverizzate ancora con le spezie e arrotolate legandolo con dello spago da cucina. 
  • La ‘nduda è così pronta, adesso va appesa ad una pertica in una stanza fresca ed asciutta per almeno due mesi.

Altre considerazioni

Facendo altre ricerche in un Gruppo Facebook della zona di Montepaone, alcune persone hanno detto che il finocchietto selvatico è essenziale per preparare questo insaccato. Ma non solo. Alcune persone mi hanno detto che andrebbe affumicato.

La signora Maria C. mi dice infatti: «Io la faccio con lo stomaco pulito e sbollentato la lingua, idem e altri parti di carne e cotica, metto il sale, la salsa di peperoni, il finocchio, peperoncino in polvere, lo faccio marinare in un tegame e poi insacco nell’intestino cieco, lo lego lo buco con una forchetta e lo appendo quando è pronto, più o meno 3 mesi, lo faccio dissalare nell’acqua prima calda e poi fredda, lo cucino con il sugo e ci faccio il riso è una vera bontà in dialetto noi la chiamiamo Arreganata»

Il signor Luciano V. invece fa alcune considerazioni interessanti: «Se è un salame tipico nostro, cioè di zona il finocchio non va, perché nei nostri insaccati sono presenti solo: pepe nero in grande oppure rotto grossolanamente nelle soppressate, nei salami pepe dolce in polvere oppure piccante e sale, e se nella lavorazione la carne per insaccarla con la macchina si presenta asciutta, al massimo una bagnata con acqua e sale, se il capicollo oppure il guanciale. Sempre sale pepe grosso nero oppure Pepe in polvere.»

E conclude: «Non si adopera vino bianco oppure rosso non si adopera finocchio o cannella non si adopera niente di tutto ciò . I nostri salumi sono al naturale affumicati con legna di olivo e area naturale per fare prendere la ventilazione naturale. Però una cosa debbo dire che di questo tipo di salume è la prima volta che lo sento. Però ho sentito la NDUJA che per noi del Catanzarese era una specialità provandola con i finocchi del selvatici oppure con le cicorie selvatiche ed era fatta dallo stomaco del maiale con la parte meno nobili di carne, con le rimanenze dell’ intestino etc questa era la nostra ‘NDUJA che una volta affumicata ed asciutta veniva tagliata a tranci e si metteva nelle minestre.»

Entrambi hanno ragione, se vogliamo. Il finocchietto in semi è presente negli insaccati anche se nel catanzarese è più raro trovarlo. Sicuramente dà un sapore molto gradevole alla carne di maiale. In ogni caso, ciò denota che ogni famiglia ha la sua ricetta.

Ricetta con la ‘nduda

Prendendo a prestito i consigli della signora Froio riporto il procedimento.

«Sbollentate in una pentola con acqua non salata la ‘nduda, poi trasferitela in un tegame di terracotta nel quale avete versato dell’acqua fredda, aggiungendo una carota, un gambo di sedano, un cipollotto e un pomodoro a pezzetti. Fate cuocere fintanto che la ‘nduda non s’infilzerà con i rebbi della forchetta. Ci vorranno un paio d’ore e occorrerà aggiungere dell’altra acqua tiepida. Niente sale poiché il salume è abbastanza saporito.»

«A cottura ultimata in un tegame capiente fate rosolare uno spicchio d’aglio con olio evo, aggiungete la verdura e qualche mestolo del brodo. Fate stufare per pochi minuti e poi aggiungete la ‘nduda tagliata a fette spesse. Fate insaporire e poi spegnete il fuoco. Lasciate riposare la minestra prima di servirla. Volendo potete aggiungere del pecorino grattugiato

Ingredienti per la minestra:
Bieta, cicoria selvatica ed erbe di campo, olio evo, sale q.b.
Per il brodo: carota, sedano, cipollotto, pomodoro maturo, sale q.b.
Nduda stagionata

La ‘nduda con le verdure di stagione

Ringrazio chi mi ha aiutata ad avere più informazioni, soprattutto i partecipanti del gruppo di Facebook dedicato a Montepaone e in particolare alla signora Froio il cui apporto è stato essenziale.